giovedì 31 marzo 2011

[L'angolo del tazebao] Un pò di menzogne sulla guerra in Libia

Si dice che la prima vittima della guerra sia la verità. Le operazioni militari in Libia e la risoluzione 1973 che ad esse fornisce base giuridica non fanno eccezione a questa regola.

di Thierry Meyssan, analista politico francese, fondatore e presidente del Rete Voltaire e dell’asse della conferenza Axis for Peace

Per fornire un’immagine a fosche tinte, la stampa atlantista ha fatto credere che le centinaia di migliaia di persone in fuga dalla Libia stiano tentando di sfuggire a una strage. Le agenzie di stampa hanno evocato migliaia di morti e parlato di “crimini contro l’umanità”. La Risoluzione 1973 ha messo in guardia il Tribunale penale internazionale contro possibili “attacchi sistematici o generalizzati diretti contro i civili”.

In realtà, il conflitto libico può essere letto sia in termini politici che in termini tribali. I lavoratori immigrati sono stati le prime vittime. Essi sono stati brutalmente costretti ad andarsene. Gli scontri tra lealisti e ribelli sono stati realmente sanguinosi, ma non nelle proporzioni propagandate. Non vi è mai stata alcuna repressione sistematica contro i civili.

mercoledì 30 marzo 2011

Tutti i mercoledi in via Plana!

[L'angolo del tazebao] Attacchi a terra e forze speciali la vera guerra degli alleati

Non solo no-fly zone: così combatte l'Occidente. Il pattugliamento umanitario è una favola: ora le azioni militari si avvicinano sempre più al terreno. Lo spiega l'ex comandante delle forze Nato durante la missione di pace in Kosovo

di Fabio Mini

La strategia moderna contempla la guerra come un fatto normale, senza fine, senza misura certa della vittoria o della soglia della capitolazione. I bombardamenti di questi giorni in Libia, i ribelli che combattono e i civili che scappano fanno parte di questa normalità così come sono normali la disparità delle forze in campo, la volontà di usarle e la varietà di posizioni espresse sul piano politico-diplomatico. Una volta demandata la responsabilità delle operazioni militari a qualcun altro, in questo caso fingendo che la Nato sia un "altro", la guerra può continuare con i suoi ritmi normali. La preoccupazione non è la Libia, ma cosa fare di Gheddafi senza strapazzarlo troppo. Bisogna anche non apparire troppo truci o troppo armati, specialmente nelle intenzioni. Il presidente Obama ha detto che l'America non ha interessi vitali in Libia e gli si sono accodati tutti. La Germania si era già sfilata assestando un colpo micidiale alla Nato, diversi altri paesi dicono di non voler combattere e la Turchia di Erdogan non solo ha promesso solennemente che non bombarderà mai il popolo libico ma vuole addirittura attribuire a Gheddafi la virtù taumaturgica e catartica di dirigere la Libia nella transizione democratica contro il suo stesso regime.

[L'angolo del tazebao] Deboli al fronte, forti nel mondo I ribelli accolgono i primi ambasciatori

Gheddafi respinge ancora l'avanzata degli insorti. I suoi miliziani riprendono Al Assun, bloccando la marcia verso Sirte. E' il momento delle trattative segrete fra i diplomatici e i capi delle tribù

di Bernardo Valli

Quale sorte riservare a Gheddafi è l'argomento che ha impegnato nelle ultime ore buona parte della società internazionale, riunita a Londra. Da qui, dove la guerra civile è tuttora in corso, si ha l'impressione che si sia discusso il prezzo della pelle dell'orso, non dico prima di averlo ucciso, ma perlomeno catturato. O messo fuori gioco. Gheddafi è infatti sempre arroccato in Tripolitania. Il raìs è difeso dai (finora) fedeli giannizzeri, e la sua fine politica o fisica non è in vista; anche se resta possibile in qualsiasi momento; un tradimento dei cortigiani affretterebbe i tempi. Le esplosioni udite ieri vicino alla sua residenza di Tripoli potrebbero avere il valore dei rintocchi delle campane un tempo annuncianti l'imminente morte di un uomo o una donna della comunità. Per ora lui è comunque vitale e combattivo, al punto da paragonare i nemici ad Adolf Hitler. E nei nemici comprende anche i dirigenti dei Paesi della coalizione che bombarda dal cielo le sue truppe.

[L'angolo del tazebao] Ventimiglia andata e ritorno

"Primavera araba". "Qui comincia l'inverno europeo" - by Chappatte

Dopo la traversata del Mediterraneo e la fuga dai cie italiani, i migranti cercano di entrare in Francia per riabbracciare i parenti e cercare un lavoro. Ma la polizia francese continua a respingerli, e nella cittadina di frontiera si prepara un'altra emergenza.

di Giuseppe Salvaggiulo per La Stampa

"A noi l’Italia non interessa. Siamo di passaggio, vogliamo andare in Francia ma lì non ci vogliono". Bivacchi in stazione. Muretti trasformati in orinatoi. Siesta nei giardini comunali. Accampamenti lungo il fiume Roia. Probabilmente clandestini, forse rifugiati, certo disperati. Migranti. Se Lampedusa è il collo, Ventimiglia è il fondo della bottiglia in cui si agita questa miscela esplosiva. Vite di scarto in transito - jeans, scarpe da tennis, telefonino come bagaglio - e cittadini inquieti, che fermano per strada il sindaco Gaetano Scullino: "Quando li portate via?". La stazione di Ventimiglia è la terza tappa italiana per gli immigrati partiti dalla Tunisia. Dopo l’approdo a Lampedusa, il trasferimento nei centri temporanei sulla penisola - Bari, Foggia, Crotone - da cui è facile scappare. E via in treno verso Nord. Da un confine a un altro. 


martedì 29 marzo 2011

[L'angolo del tazebao] Gli aerei americani hanno poco a che fare con la «no fly zone»

Smentita l’affermazione che gli Usa non stanno fornendo supporto diretto agli insorti. AC 130H «Spectre» e «A 10» sono velivoli per l’appoggio alle truppe dei ribelli anti-Gheddafi

Barack Obama vorrà pure ridurre l’impegno militare in Libia e il Pentagono ha richiamato alcune unità navali. Ma i mezzi che gli Usa stanno impiegando rivelano chiaramente le intenzioni. Fonti militari hanno annunciato che nel paese nord africano operano gli AC 130H “Spectre” e gli "A 10". Sono due aerei concepiti per distruggere carri armati, mezzi, pezzi d’artiglieria. Con un potere di fuoco devastante hanno partecipato a tutte le recenti campagne statunitensi, dall’Iraq all’Afghanistan. Lo “Spectre” è un erede di un velivolo impiegato per la prima volta in Vietnam ed è una versione modificata del celebre C 130 Hercules da trasporto. Può essere armato con un pezzo da 105 millimetri, cannoncini da 40 e 25 millimetri guidati da sistemi sofisticati. L’aereo può ingaggiare due obiettivi simultaneamente e i suoi apparati correggono il tiro. E’ devastante quando affronta colonne in movimento ma è anche accurato nell’individuare bersagli singoli. LO “Spectre” può solo sparare dal lato sinistro e per questo “orbita” attorno al bersaglio. L’equipaggio è composto da 5 uomini più 8 addetti alle armi. In Libia è stato probabilmente usato contro i corazzati delle Brigate Khamis che bombardano le città ribelli e che difendono la zona occidentale.

[L'angolo del tazebao] Gli intellettuali si scontrano sulla guerra umanitaria

L'intervento in Libia ha scatenato un accesso dibattito in Francia, paese che ha preso l'iniziativa degli attacchi aerei nonché patria del concetto di "ingerenza umanitaria".

Alle posizioni del popolarissimo filosofo Bernard-Henri Levy, che secondo Marianne è l'ispiratore della linea diplomatica francese e avrebbe convinto a intervenire Nicolas Sarkozy, diversi intellettuali hanno risposto sottolineando i limiti dell'intervento militare.

Rony Brauman, ex presidente di Medici senza frontiere e specialista in missioni umanitarie, ha dichiarato in un'intevista a Libération:

"Continuo a non credere alle virtù dei bombardamenti aerei per installare la democrazia o 'pacificare' un paese. La Somalia, l'Afganistan, l'Iraq e la Costa d'Avorio stanno lì a ricordarci la dura realtà della guerra e la sua imprevedibilità. 'Proteggere la popolazione' significa in pratica cacciare Gheddafi e sostituirlo con un Karzai locale, se seguiamo la logica, o dividere il paese per congelare la situazione. In entrambi i casi non saremo però in grado di gestire le conseguenze".

lunedì 28 marzo 2011

[L'angolo del tazebao] Libia, petrolio al sicuro

Dopo la presa di Ras Lanuf i ribelli hanno ripreso i pozzi, adesso la coalizione lavora alla soluzione diplomatica

Il regime di Tripoli ha promesso per Sirte una nuova Stalingrado. La città natale del rais, a questo punto, diventa il confine psicologico della Tripolitania. L'avanzata dei ribelli, nelle ultime ore, è tornata a essere inarrestabile. Ajdabiya, Brega, Ras Lanuf. Il petrolio, in parole povere.

Il puzzle, sempre più, trova la sua completezza. I ribelli, alle porte di Tripoli, sono stati abbandonati a loro stessi nei giorni scorsi. Il regime ha ripreso l'iniziativa, arrivando alla periferia di Bengasi. Solo allora si è mossa la comunità internazionale, con la no fly zone estensiva, visto che non si è limitata a impedire all'aviazione di Gheddafi di attaccare, ma ha anche bombardato le colonne dell'esercito libico, rovesciando l'esito della guerra.

Grazie anche alle armi nuove di zecca che sono arrivate, alla fine, nelle mani degli insorti permettendo loro di avere ragione nel corpo a corpo con i blindati dell'esercito che rinculano verso Sirte e Tripoli, mentre a Misurata si combatte casa per casa.

venerdì 25 marzo 2011

[L'angolo del tazebao] Libia e Bahrein: interventi umanitari selettivi

Gli Emirati, dopo il Qatar, si uniscono alla coalizione ma chiedono il silenzio occidentale sul massacro a Manama

Dodici aerei da combattimento. Quanto valgono? Poco, da un punto di vista militare. Troppo da un punto di vista economico. Tanto da un punto di vista politico, se arrivano dagli Emirati Arabi Uniti.

Sei Mirage di produzione francese, sei F16 di produzione statunitense. I sette emirati del Golfo Persico, dal 25 marzo 2011, li hanno messi a disposizione della missione in Libia che, da lunedì, passerà sotto il comando Nato e con la benedizione del Consiglio di Sicurezza Onu. Mancava un tassello, però. Anzi due. Da un lato l'Unione Africana che si è chiamata fuori dal primo minuto ma che, pare su iniziativa italiana, potrebbe rientrare nella dimensione diplomatica della crisi libica, magari offrendo al Colonnello Gheddafi un posto dove andare in esilio. L'altro tassello mancante è il mondo arabo. In fiamme e quindi scosso, in difficoltà.

La Lega Araba, che più passano gli anni più non si capisce bene chi rappresenti, per bocca del suo segretario generale Amr Moussa approva la no fly zone, poi si rimangia tutto e parla di eccesso di zelo francese nel bombardamento. Di nuovo, in poche ore, ricambia idea e sostiene la protezione dei civili libici. Una voce univoca, però, non c'è. Yemen, Siria, Giordania e tanti altri paesi hanno il loro bel da fare, ma soprattutto il Golfo Persico è in bilico. Ecco perché una presenza araba nella coalizione ha un peso politico enorme, ma ha anche un prezzo.

[L'angolo del tazebao] Generazione revolution: da Benghazi a Lampedusa

A volte una chiacchierata aiuta a chiarirsi e a chiarire le idee. Soprattutto quando l'interlocutrice è una come Alma Allende, che è una che ha seguito tutta la rivoluzione in Tunisia per il sito Rebelion. Le domande sono le sue, e le risposte le mie, che da due settimane sto qui a Benghazi con i ragazzi della rivoluzione. Dove sta andando la Libia? Perché in giro tutti gridano al complotto americano o islamista? Quale è stato il ruolo dell'informazione? Si può essere imparziali in un posto come questo? E infine Lampedusa. La Libia c'entra davvero qualcosa il boom degli sbarchi delle ultime settimane? Leggi l'intervista.

Gabriele, adesso che si è deciso l'intervento dell'ONU e le bombe degli alleati cadono sulla Libia, ci sono delle voci antimperialiste che tentano di dimostrare che la rivolta era stata preparata dall'inizio dalle potenze occidentali. Tu cosa ne pensi? C'è stato un disegno esterno o sono state rivolte popolari spontanee come in Tunisia e Egitto? Non sono assolutamente d'accordo con chi grida al complotto. In Libia, come in Tunisia, in Egitto, in Yemen, e adesso anche in Siria, le rivolte sono state spontanee e popolari e non sono il frutto di complotti americani, ma piuttosto la risposta più naturale che potevamo aspettarci dopo decenni di dittature sostenute dalle grandi potenze in nome della stabilità e dei buoni affari. Stupisce che certe teorie cospirazioniste arrivino dagli ambienti di sinistra. Ma forse è anche perché queste rivoluzioni trascendono e superano le categorie della sinistra. È un paradosso interessante da analizzare. In piazza al Cairo, come a Tunisi e a Benghazi, ci sono soprattutto i poveri. Ma i poveri non chiedono salari, non gridano contro i padroni, non si identificano come classe operaia. O almeno non ancora. Prima di tutto chiedono la libertà e prima di tutto si identificano come cittadini. E uno degli strumenti principali che gli permette di organizzarsi è un oggetto di consumo. Forse il simbolo dei beni più futili del consumismo: il computer con cui mettersi in rete, e i videofonini per registrare quello che succede per strada. Infine c'è un elemento generazionale. Sono paesi giovani, al contrario dell'Italia dove il cittadino medio è cresciuto nella guerra fredda. Qui la maggior parte della popolazione ha meno di 25 anni e spinge per il cambiamento. Un cambiamento che sulla riva nord non sappiamo capire, anche per un approccio razzista e coloniale di cui non riusciamo a liberarci. L'Europa si ritiene unica depositaria della democrazia. Come se fosse un concetto che potesse appartenere a qualcuno e non ad altri. E ritiene impossibile che un paese musulmano possa aspirare alla libertà anziché all'oscurantismo religioso. Ecco perché attecchiscono le tesi cospirazioniste. Non riusciamo a accettare che alla “nostra” decadenza corrisponda il “loro” risorgimento.

mercoledì 23 marzo 2011

[L'angolo del tazebao] E se i buoni non fossero così buoni?

Uno scenario troppo semplificato che può riservare sorprese

di Maurizio Matteuzzi

I buoni contro i cattivi, i nostri contro i loro, il 7° cavalleggeri contro gli indiani. Una semplificazione molto televisiva per un caso molto complicato. Il cattivo non può essere che Gheddafi. Il suo ruolo se l'è guadagnato di diritto in 40 anni di potere assoluto, abusi ed eccessi, bizzarrie ed eccentricità (anche se non tutto quello che ha fatto è stato una schifezza).

I buoni sono i ribelli di Bengasi (ribellarsi è giusto), i «rivoluzionari del 17 febbraio» che hanno strappato a Gheddafi tutto l'est libico, l'indocile Cirenaica. Quelli che quasi tutti fin dall'inizio hanno chiamatio i «civili» (così da accreditare la guerra giusta dell'Onu). «Civili», ma non come quelli del boulevard Bourghiba di Tunisi, della piazza Tahir del Cairo, della Piazza della perla di Manama. Dalle stesse immagini tv i «civili» di Bengasi sono miliziani armati di tutto punto, con tank e contraerea capaci di abbattere aerei governativi e pilotare jet da combattimento.

Sono loro che, una volta conclusa la guerra umanitaria dell'Occidente e liquidato finalmente Gheddafi, saranno la nuova Libia.

martedì 22 marzo 2011

L'angolo del tazebao!

Definizione quasi etimologica
Progetto entusiasta sui muri ed in rete
Simbolicamente e meravigliosamente sintetizzato sotto!

mercoledì 16 marzo 2011

Tutti i mercoledi: riunione del Collettivo di Scienze Politiche!

Oggi il Collettivo di Scienze Politiche si è ritrovato in assemblea in un'aula di via Plana:

  • abbiamo deciso di darci come appuntamento assembleare il mercoledi!

Quindi, d'ora in poi, tutti i mercoledi, alle 17:30, in via Plana, ci sarà la riunione del Collettivo di Scienze Politiche.

Nell'annosa ricerca di uno spazio dentro il deserto della facoltà nostrana...
We want our space!

domenica 6 marzo 2011

Il Collettivo di SciPol si riunisce!

Lunedi 7 marzo, alle ore 17,
ci ritroveremo nell'atrio di via Plana 10!

Prima riunione del neonato
Collettivo di Scienze Politiche!

Scienziati politici, siete tutt* invitati!