sabato 10 dicembre 2011

Con l'autunno (non) caldo alle spalle, direzione inverno scongelato e primavera anticipata

Quest'estate fra mille programmi e posizionamenti si scandiva, un pò per opportunismo un pò per allarmismo, lo spettro dell'autunno caldo. Comprensibile la crisi cominciava a mordere, in balia di un governo allo sbando, con un ricordo lucido della precedente stagione di lotte del movimento studentesco (con la comparsata della Fiom), quindi con il suo apice: Piazza del popolo.

Abbiamo vissuto un'estate strana: nuvoloni densi di pioggia e temperature miti preannunciavano e accompagnavano il crollo delle borse e l'aumento dello spread, abbiamo cominciato a sentire nostro quello che tre anni fa sentivamo lontano, 'perché le nostre banche sono (erano) solide'. Oggi finalmente la dittatura della finanza svela le sue carte ed entra prepotentemente nella quotidianità delle nostre vite, non c'è battito e non c'è scelta che non passi al vaglio del mostro mercato che risponde silente con ricadute e rialzi. Dall'altro lato abbiamo una crisi tangibile che fa riflusso, da tempo oramai, sul ceto medio e sugli strati 'flessibili' della popolazione: giovani e precari che vedono sempre più lontano lo spiraglio della crescita e del benessere liberale al quale eravamo forse abituati.

È così che una generazione X, (dicono) senza sogni e senza morale, dalle piazze spagnole ha preso coscienza e forza diventando movimento che si è espanso in tutto il mondo, gli 'indignatos' fanno capolino ovunque, seppur con mille facce differenti, sino ad arrivare nel cuore finanziario del mondo: Wall Street. I movimenti con il meeting internazionale di Barcellona, a settembre, hanno lanciato il primo appuntamento comune, transnazionale, contro la crisi la politica e la finanza: il 15 ottobre. Del 15 ottobre italiano si è discusso molto in tutte le sue sfaccettature tralasciando forse il dato più importante, quello di una generazione che è scesa in piazza privata di tutto, nelle sue molteplici nature, ribadendo l'indisponibilità a continuare a pagare ed a subire passivamente questa crisi, che non le appartiene. Dopo quel giorno l'attacco è stato duro, proibizione di manifestare e richiamo alle leggi fasciste degli anni '70 degne del signor Francesco Kossiga. Però forse qualcuno sta ancora tremando...

Il movimento #OccupyWallStreet. Nel cuore della crisi, l'embrione per una collettività sotto il segno dell'hashtag

Nella stagione della crisi, dal 2007 a oggi, si è assistito in più paesi alla nascita di movimenti di opposizione e contestazione dell’attuale modello di sviluppo, un modello capitalistico avanzato, in cui la finanza guida il mondo dettando legge agli Stati e ai governi, usando questi come strumenti per la realizzazione di interessi particolari e subordinazione generale. Rientra in quest’ottica il comandamento dell’austerity come unica medicina alla malattia della crisi. In Europa il più fortunato tra i movimenti promotori di un modello di sviluppo alternativo e socialmente sostenibile è quello degli indignados spagnoli, pur nelle loro diverse sfaccettature, arrivati addirittura a lanciare una giornata di mobilitazione globale, il 15 ottobre. Ma anche oltreoceano qualcosa si è mosso: negli Usa, infatti, dopo decenni di guerra santa in difesa della libertà economica e di lotta all’eresia socialista è nato un ampio movimento di contestazione del sistema, chiamato Occupy Wall Street.

martedì 8 novembre 2011

"Senza polizia non venite mai!" Gli student* antifascist* cacciano il Fuan dall'Università

Oggi la lista Fuan ha messo in atto il suo solito teatrino, fine a sè stesso, per cercare spazio politico all'interno dell'Università. Appena hanno provato ad allestire il loro banchetto però, i neofascisti hanno dovuto confrontarsi con la risposta degli studenti e delle studentesse, da sempre contrari a concedere qualunque tipo di visibilità a questi personaggi. Da subito infatti un folto gruppo di student* si è radunato all'ingresso della palazzina Einaudi (facoltà di Scienze Politiche e Giurisprudenza) per impedire che il volantinaggio del Fuan si svolgesse.

A quel punto l'intervento prima della digos e subito dopo della celere, che ha caricato il presidio, ha spinto gli studenti e le studentesse antifascisti/e fuori dall'edificio. Il presidio, però, ha continuato ad ingrandirsi nonostante lo schieramento della polizia, obbligando il Fuan a ritirare velocemente baracca e burattini e scappare dalla porta di servizio sempre (ovviamente!) scortato.

Riteniamo inaccettabile che le forze dell'ordine possano entrare all'interno delle nostre facoltà, bloccando l'accesso a chi quotidianamente vive questi spazi (che sono e devono rimanere liberi) in difesa di un manipolo di politicanti in erba. Questi personaggi, infatti, non sono soltanto giovani nostalgici che nel tempo libero vanno in gita a Predappio, ma anche espressione diretta di quella casta politica che vorrebbe fare pagare la crisi che ha contribuito a creare a giovani, studenti e precari, attraverso politiche di austerity. Come studenti e studentesse che da anni si battono contro la privatizzazione dell'Università e la Riforma Gelmini, ben conosciamo chi, invece, attento solo ad accaparrarsi la poltrona (come il loro mentore Maurizio Marrone, ieri noto picchiatore del Fuan e oggi fascista in doppiopetto tra le fila del Pdl in Consiglio Comunale), non ha fatto altro che appoggiare tutte le nefandezze portate avanti dal governo.

Ancora più assurda diventa allora la loro presenza se si legge il volantino che avrebbero voluto distribuire dal titolo "Il precariato è una piaga". Certamente non possono essere loro, che un futuro se lo stanno già costruendo tra le fila del loro partito come portaborse della Gelmini, a spiegare agli studenti quali sono gli effetti della crisi, che cosa cos'è un futuro di precarietà.

Noi, studenti e studentesse, le conseguenze delle politiche di austerity le paghiamo già sulla nostra pelle! Noi che paghiamo tasse universitarie sempre più alte, libri di testo dai prezzi inaccessibili, affitti esorbitanti! Noi che per studiare siamo costretti a sopportare stage e tirocinii gratutiti e a lavorare in bar e call center sottopagati! Noi, che per cambiare tutto questo (e molto altro ancora!) abbiamo lottato e sempre continueremo a lottare... non vogliamo piu' vedervi nelle nostre facolta'!

Nessuno spazio a fascisti e politicanti, fuori il Fuan dall'universita'!

Collettivo di Scienze Politiche
Collettivo di Lettere & Filosofia

lunedì 24 ottobre 2011

In piazza una generazione che vuole essere protagonista!

 Commento del Collettivo di SciPol sulla giornata del #15ottobre

Il 15 ottobre è stata una giornata molto densa di eventi e soggetti, molto complessa, non semplificabile. È passata tra folle indignate e incazzate, macchine in fiamme, striscioni, slogan e cori, cariche della polizia e resistenza di piazza. Di ritorno da Roma la tempesta mediatica era già scatenata: innanzitutto l'attacco furioso del Partito de La Repubblica, congiunto all'isteria dei differenti ma congiunti 'fogli e foglietti' di regime. Cavalcata l'onda schizofrenica e mediatizzata di complottisti post e tweet, ritorna il fantasma dei black bloc, affiorano presunti infiltrati magari pure fascisti. Tutto si scioglie come neve al sole, le favolette sono utili solo per la politica reazionaria che sfrutta l'occasione per impugnare ancora i forconi, da Maroni a Di Pietro, fino a Vendola. Ci sorge spontaneo il 'dubbio': che la loro sia un'ulteriore dimostrazione della paura per un cadreghino delegittimato? Noi preferiamo fermarci a pensare e riflettere, provando a vedere le cose da diverse prospettive, a mettere a verifica tutto. Riteniamo fondamentale discutere e capire. Vogliamo prendere parola, senza sentenziare, dando il nostro contributo per una discussione che riguarda tutti. Lo iniziamo a fare con queste righe: sintesi delle discussioni comuni che abbiamo fatto come collettivo di facoltà, discorsi, analisi e interpretazioni che siamo pronti a mettere in gioco discutendo ancora con altri, tanti e diversi.

mercoledì 12 ottobre 2011

Il Collettivo SciPol parteciperà a Metropolis!


Tutti i giorni il Collettivo di Scienze Politiche
terrà il suo banchetto informativo negli spazi di Metropolis,
e martedì sera saremo noi ad occuparci di shakerare il cocktail (pastis!).

lunedì 20 giugno 2011

Solidarietà agli studenti e le studentesse di Firenze. Niccolò libero! Liberi tutti!

Il Collettivo di Scienze Politiche dell'università di Torino esprime la propria solidarietà alle compagne e ai compagni fiorentini colpiti da ulteriori provvedimenti cautelari da parte della questura e magistratura gigliata.

Ancora denunce e arresti contro gli studenti e le studentesse che si sono mobilitati, insieme a noi, in questi anni, per tentare di bloccare la riforma Gelmini del governo Berlusconi. Operazione repressiva nella quale hanno scaraventato anche un nostro compagno del Collettivo di Scienze Politiche, Niccolò, protagonista delle lotte studentesche nella sua Firenze da studente medio e partecipe generoso nei conflitti che abbiamo sospinto e organizzato dentro e contro l'università torinese.

Il marchingegno togato lo accusa quindi anche per il suo impegno politico nelle mobilitazioni del caldo autunno sotto la Mole. Mobilitazioni che hanno evidentemente infastidito chi vorrebbe vedere il movimento costretto negli argini del “bello e colorato” e fermo a rivendicazioni meramente studentiste e che si è invece trovato di fronte ad un fiume in piena che in tutta Italia ha assunto pratiche più conflittuali, muovendo dall'università alle altre lotte territoriali.

D’altronde si tratta di incriminazioni spente, incomplete e strumentali. Spente perché le minacce non esauriranno la nostra voglia di ribellarci, strumentali perché marchiate dal pressappochismo di giudici e poliziotti nell'utilizzare processi e manette per tentare di governare una generazione in rivolta, incomplete perché amputano la realtà delle lotte: in migliaia abbiamo contestato e gridato, in migliaia abbiamo occupato e bloccato facoltà stazioni e autostrade!

Questo attacco frontale si scontra in faccia al movimento intero, colpisce tutt*. Come collettivo della facoltà di Scienze Politiche di Torino ci uniamo quindi non solo all'onda di solidarietà che sta attraversando le nostre università ed il nostro paese, ma, data la condivisione di pratiche ed obiettivi, esprimiamo la nostra complicità con gli studenti e le studentesse di Firenze, pretendendo che tutti vengano liberati, dichiarandoci indisponibili a stare al gioco delle intimidazioni, fermamente convinti e certi che nessuna inchiesta potrà fermare le nostre battaglie.

Niccolò libero! Liberi tutti! Liberi subito!


Collettivo di Scienze Politiche - Torino

mercoledì 1 giugno 2011

Hurria! Dibattito sulla rivoluzione tunisia

Il 31 maggio si è tenuta l'ultima iniziativa del Collettivo di Scienze Politiche, per quest'anno accademico, in facoltà. 'Hurria! Di ritorno dalla rivoluzione tunisina' è stato uno spazio di dibattito sul processo insorgente che da gennaio sta attraversando e travolgendo, su livelli differenti, la Tunisia.

Se la fase della straordiaria rivolta ha, al momento, in termini di massa e potenza, chiuso la sua parentesi, oggi stiamo assistendo a quella della reazione del potere, di tentativo di stabilizzazione e pacificazione sociale.

Nella e per la discussione abbiamo invitato Fulvio Massarelli, arabista dell'università di Bologna, e Gianluca Pittavino, attivista del Knowledge Liberation Front. Entrambi appena tornati dalla Tunisia rivoluzionaria.

Seguono gli audio dell'incontro:

venerdì 6 maggio 2011

Fabbrica del sapere chiusa! Che sciopero sia!

6 Maggio: siamo finalmente giunti allo sciopero generale!

Uno sciopero che arriva tardivamente, rispetto a quanto abbiamo chiesto a gran voce già durante la mobilitazione di quest’autunno, e con dinamiche sindacali sempre più controverse... Uno sciopero di fronte al quale però, noi che facciamo parte dell’università e che lo abbiamo reclamato dalle piazze, non vogliamo tirarci certo indietro!

Scenderemo quindi in piazza per portare avanti la protesta e la pretesa di cambiamento che hanno contraddistinto le lotte di quest’autunno, per dire no al ricatto e la precarizzazione delle nostre vite e del nostro futuro. In questa giornata di blocco totale della produzione, anche noi non vogliamo né possiamo essere da meno. Ecco perché abbiamo bloccato con catene e lucchetti l'accesso alla nostra facoltà: lo stop totale del flusso produttivo passa anche per l'università-fabbrica nella quale ci educano alla precarietà.

In un paese che verte in una situazione critica e precaria, dai luoghi di lavoro alle aule universitarie, estendiamo e generalizziamo lo sciopero nelle piazze! Diciamo chiaramente a chi vorrebbe decidere per noi e per le nostre vite, a chi ci vorrebbe piegare e schiacciare sotto la macchina della produzione: “Oggi anche la fabbrica del sapere chiude, che sciopero sia!”

Collettivo di Scienze Politiche

giovedì 5 maggio 2011

Per una generalizzazione delle lotte, contro la prepotenza della crisi

Una richiesta, forte e pressante, si è levata da piazze e movimenti per tutto l’autunno: sciopero generale. La richiesta di una data miliare nella quale chi non vuole allineare e rassegnare a pagare supinamente i costi della crisi potesse aver modo di paralizzare questo paese e far tremare il governo con l’urto delle piazze e non con il feticcio dei piagnucolii contro B. ed il corrotto “sistema Italia”. Ma quell’urlo, che puntualmente si levava dalle mobilitazioni studentesche autunnali, se non ha nemmeno sfiorato le orecchie di sindacati gialli come la Cisl e la Uil (evidentemente troppo impegnati a piegarsi e a sottoscrivere i ricatti di Marchionne & company!), come un’eco lontano sembra essere giunto a quelle della Cgil che, foraggiato dalle istanze della Fiom, ha infine convocato lo sciopero generale per il 6 Maggio...

Non c’è dubbio: è una convocazione terribilmente tardiva, quasi in sordina e ridotta ai minimi termini, eppure ora sta a noi avere la voglia e la necessità di metterci nuovamente in gioco, per generalizzare uno sciopero da costruire ripartendo dalle facoltà, dalle scuole, dai collettivi, per cambiare di segno lo sciopericchio del 6 maggio. Per uno sciopero generale che (ri)parta dai nostri bisogni, che torni a gridare le parole d’ordine che hanno infiammato le piazze autunnali: che parli di precarietà e reddito, di una generazione che si sta vedendo sottrarre il proprio futuro ma che è decisa a riconquistarlo, metro dopo metro. La rabbia di piazza del Popolo del 14 dicembre è arrivata fino ai palazzi del potere, ha mandato un messaggio chiaro a chi pensa ancora di poter continuare ad agire indisturbato sulle e delle nostre vite... quanto sta accadendo nei paesi del Maghreb ci insegna come sia possibile immaginare il cambiamento, tradurlo in realtà!

martedì 3 maggio 2011

Verso lo sciopero generale: l'incontro con Giorgio Cremaschi

Il 3 maggio come Collettivo di Scienze Politiche abbiamo invitato Giorgio Cremaschi, Presidente della Fiom nazionale, per un dibattito in cui sono intervenuti anche Giacomo Divizia (Fiom di Cuneo), Marco Congiu (operaio dell’Iveco) e Stefano Vannicelli (Rsu dell’Università di Torino).

Come collettivo abbiamo deciso di organizzare quest’incontro in vista dello sciopero generale del 6 Maggio: uno sciopero che a partire dall’autunno noi studenti e studentesse abbiamo chiesto a gran voce dalle piazze, pensando ad una giornata in cui tutte le componenti sociali che hanno popolato e attraversato le mobilitazioni dei mesi scorsi avessero la possibilità di bloccare davvero questo paese.

Quel che ci si presenta ora non è certo ciò che chiedevamo e immaginavamo, bensì uno sciopero depotenziato in partenza e convocato quasi in sordina che non potrà di certo esprimersi in tutta la forza che avrebbe potuto avere se convocato quando le piazze lo richiedevano.

Abbiamo organizzato quest’incontro anche per dare continuità al percorso inaugurato il 16 ottobre a Roma, che ha visto il convergere dei movimenti di studenti e lavoratori fino allo sciopero del 28 gennaio scorso.

Un percorso sicuramente importante e che non ha mai assunto toni meramente solidaristici ma ha anzi sempre sottolineato come l’attacco al mondo del lavoro e quello al mondo della formazione vadano inseriti in un quadro comune di smantellamento di diritti e di tentativi di uscita dalla crisi.

Anche in questo caso crediamo però che quel percorso non si sia espresso in tutte la sua potenzialità, riuscendo ad uscire dalla dimensione sindacale per assumerne una più ampia e politica.

Dibattito con Giorgio Cremaschi verso lo sciopero generale

mercoledì 20 aprile 2011

Corteo contro il nucleare a Trino Vercellese!

Scienze Politiche contro l'energia nucleare! Anche noi ci saremo!

Appello per l’adesione e la partecipazione al corteo antinucleare a Trino Vercellese il 23 aprile 2011.

In un momento come questo, con il rilancio del nucleare da parte del Governo posticipato di un anno, la gestione fallimentare della pattumiera nucleare presente nella nostra Regione, la questione trasporti delle scorie radioattive e l’importanza del prossimo Referendum del 12/13 Giugno, come un passaggio nella lotta contro la rinascita del nucleare in Italia, si vuole portare a Trino, in concomitanza ma non in alternativa all’appuntamento di Caorso, un momento che veda coinvolto il territorio che paga sulla propria pelle il peso della vecchia esperienza nucleare italiana. Anche grazie al Referendum dell’87 tale esperienza  sembrava essersi conclusa e invece oggi questa terra rischia di vedersi destinata, qualora i programmi del Governo fossero confermati, sito per la costruzione di una centrale. Ribadendo ancora la volontà del Governo, di fatto già presente e operante, di costruire nuovi depositi per le scorie radioattive a Saluggia, ci vediamo convinti nel lanciare  il corteo  Antinucleare,  che pensiamo debba avere parole d’ordine come:

lunedì 18 aprile 2011

Democrazia a Scienze Politiche?! La facoltà di non permettere

All'attenzione della presidenza di Scienze Politiche, a tutt* coloro che studiano lavorano e vivono la facoltà.

Scriviamo per rendere pubblico e per chiedere conto dell'atteggiamento tenuto giovedì 14 Aprile dalla nostra Facoltà nei confronti del neonato Collettivo di Scienze Politiche. In tale data abbiamo organizzato un incontro con Cosimo Caridi e Paolo Hutter, due giornalisti freelance appena tornati dalla Tunisia, per proiettare le video-interviste da loro realizzate nel viaggio tunisino e quindi per aprire un dibattito sui processi rivoluzionari del Nordafrica. Ma dalla Facoltà di Scienze Politiche, che si definisce facoltà di capire il mondo (...), abbiamo trovato solo porte chiuse in faccia e non solo in senso metaforico, visto che sono state barricate aule vuote per impedirci di tenere l'iniziativa e successivamente ci è stata negata anche la possibilità di poter usufruire della corrente elettrica per proiettare i video nel cortile di via Plana! Che tristezza poi vedere come il feticcio del permesso sia degenerato fino a far diventare un problema anche aver preso in prestito due sedie, per non far sedere per terra i nostri invitati, destino toccato invece a tutti gli studenti e le studentesse venut* al dibattito.

Il Collettivo di Scienze Politiche aveva deciso lunedì di organizzare l'incontro, cogliendo la possibilità presentatasi ad inizio settimana, ed il giorno successivo ha verificato la disponibilità di un'aula, consapevole di essere fuori dai tempi richiesti dalla burocrazia (15 giorni di anticipo!) ma ben sapendo, griglia delle aule alla mano, che un'aula libera nell’edificio di via Plana quel giorno ci sarebbe stata. Dopo aver provato in vari modi ad ottenere l'utilizzo di un’aula, non riuscendoci per impedimenti vari ed eventuali, ci siamo recati in presidenza dove la persona che ci ha gentilmente ricevuti - che ci è sembrata propensa a trovarci un’aula - ha contattato il preside Fabio Armao, riferendoci poi che non c'erano aule disponibili e che l'aula che avevamo scoperto essere libera (aula P) era di competenza d'interfacoltà, quindi la presidenza non aveva autorità su di essa... Sicuri che quell’aula fosse libera, abbiamo deciso di prendercela per svolgerci l’incontro, convinti del nostro diritto ad utilizzarla, dal momento che paghiamo tasse non indifferenti per iscriverci ad un’università di cui non vogliamo considerarci dei clienti ma che viviamo e attraversiamo quotidianamente in prima persona assieme alle persone che ci studiano, lavorano, insegnano, ricercano. Pur di impedirci di tenere l'incontro è stata fatta una scorrettezza palese: la Facoltà ha spostato il previsto seminario dei ricercatori di Scienze Politiche nell'aula in cui ci trovavamo (aula P) - che poche ore prima ci era stato detto non essere di competenza della Facoltà– e ha chiuso a chiave per impedirci di accedervi le porte dell'aula assegnata in precedenza ai ricercatori (aula A).

venerdì 15 aprile 2011

[L'angolo del tazebao] L'Onu pensa a una nuova risoluzione sulla Libia. Non si esclude l'intervento dei caschi blu

A ventiquattr'ore dall'intervento di Obama, Cameron e Sarkozy pubblicato su alcuni quotidiani internazionali in cui si afferma che è «impossibile immaginare che la Libia abbia un futuro con Gheddafi», le Nazioni Unite non escludono un dispiegamento dei Caschi Blu in caso di un cessate il fuoco tra il governo di Tripoli e i ribelli di Bengasi. Lo ha riferito il capo del dipartimento per il peacekeeping dell'Onu, Alain Leroy.

«Sia chiaro che è prematuro parlarne adesso, ma se ci fosse un cessate il fuoco, esso andrebbe monitorato, e si potrebbe ricorrere ai militari delle Nazioni Unite», ha detto Leroy durante una conferenza stampa al Palazzo di Vetro. Che ha sottolineato come l'Onu stia lavorando ad un piano che potrebbe avere un futuro, ma che al momento «non è sul tavolo del Consiglio di Sicurezza», cui spetterebbe il via libera al dispiegamento dei militari.

La Francia chiede una nuova risoluzione Onu

martedì 12 aprile 2011

[L'angolo del tazebao] Una guerra che divide

Da alcuni giorni ho deciso di sospendere la collaborazione al manifesto per dare sfogo al mio disagio nei confronti del giornale, della politica della sinistra in generale e delle complicità diffuse con la guerra contro Gheddafi (perché di questo si tratta). Non scriverò dunque un articolo vero e proprio ma una lettera-intervento. Sono spinto a intervenire dallo scambio un po' rude fra Tariq Ali e Rossana Rossanda a proposito della guerra. L'articolo di Tariq Ali conteneva due considerazioni a mio parere fondate e una conclusione discutibile. Aveva il difetto però di usare un linguaggio grossolano, del tutto improprio in un dibattito civile. I due punti interessanti dell'articolo - oggetto poi della reprimenda di Rossana - riguardano il carattere spurio della rivolta di Bengasi e la volontà dell'Occidente (il triumvirato imperiale lo chiama Chomsky) di dar prova di mantenere malgrado tutto il controllo dell'evoluzione in atto nel mondo arabo e intanto nel Nord Africa. Dell'aspetto dell'articolo su cui dissento dirò dopo. La risentita reazione di Rossanda configura in modo plastico il mio distacco dal manifesto. Rossana non accetta nessuna equidistanza fra i rivoltosi e il regime e di fatto sposa la necessità della guerra visto che i rivoltosi hanno preso le armi e sollecitano i raids. Prendere le distanze da alcuni sottintesi di Sarkozy o di chi per lui, come fa anche Rossanda nel suo articolo, non ha molto senso perché la tesi in campo è appunto che la guerra di Francia-Nato-Onu speculi ad arte sul pretesto di difendere la popolazione libica per legittimarsi ma abbia altri obiettivi, più pesanti.

[L'angolo del tazebao] Napoli porto di guerra

Le portaerei dirette in Libia hanno sostato nel porto partenopeo cariche di bombe, missili e reattori nucleari

Vivere a contatto con un vulcano abitua l'individuo a un fatalismo quotidiano. Ma vivere con lo spettro nucleare a pochi chilometri è cosa ben diversa. Non bastava ai napoletani la presenza del Vesuvio e l'emergenza monnezza a mettere a rischio la loro salute. Ormai da tempo, il pericolo più grande viene dal mare.

Si chiamano Uss Florida e Uss Newport News, e sono due sommergibili a propulsione nucleare. Se ne vanno a spasso per il Mediterraneo, e a volte sostano nei porti più popolati d'Italia. A Napoli il Florida è rimasto in baia tra il 3 e il 4 marzo. Il Newport News l'8 marzo. Cosa succederebbe se si verificasse un incidente a bordo di uno di questi mostri marini?

Come si può vedere dalla foto, i sommergibili sono a pochissimi chilometri da una delle coste più densamente popolate del Mediterraneo. Le due unità navali appartengono l'una alla classe 'Los Angeles' (la Newport News), l'altra alla classe Ohio. La Newport News è stata costruita nella prima metà degli anni '80, è lunga 110 metri e pesa 6.184 tonnellate. Può imbarcare 110 uomini e - come scrive Antonio Mazzeo su Antimafia 2000 - dispone di un imponente arsenale di morte (siluri Mk48 ADCAP, missili per attacco a terra "Tomahawk" block 3 SLCM con una gittata di 3.100 chilomteri e missili anti-nave "Harpoon")". La loro spinta è assicurata da un reattore nucleare ad acqua pressurizzata S6G, dove la S sta per Submarine platform, il 6 per Sixth generation e la G per General Electric, la società realizzatrice dell'impianto nucleare con una potenza di 165 MegaWatt.

domenica 10 aprile 2011

Le bombe umanitarie non fermeranno la primavera araba! Né con la Nato, né con Gheddafi!

Con il via libera dell'Onu, l'appoggio della Nato, il sostegno di alcuni Stati mediorientali “alle dipendenze” dell'Occidente, è iniziata da alcune settimane la guerra in Libia. Sui giornali viene chiamata “guerra umanitaria”, si annunciano “no fly zone”, ma noi sappiamo che è una guerra, e che le “nostre bombe” non porteranno la libertà in Libia, così come non lo fecero in Afganistan o Iraq, o in Jugoslavia. In Italia l’intervento è stato accolto con favore: il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ne è il primo sostenitore, anche l'“opposizione” l'ha accolto con favore, nelle trasmissioni televisive i politici litigano su come mai il ruolo dell'Italia all'interno della guerra non è di sufficiente rilievo, dando tutti per scontato che sia un’azione giusta e necessaria. Ma, mentre la politica istituzionale si occupa di elogiare l’intervento italiano in territorio libico, nel nostro paese questa posizione non viene accolta tout court e il dibattito si apre... Un dibattito importante e necessario che però fa fatica ad accendersi socialmente: per l'inesistente copertura dei media mainstream del dissenso alla guerra, per la sostanziale unanimità politica con cui si sta conducendo il conflitto e la faziosità strumentale delle argomentazioni di chi opportunisticamente la critica (vedi Lega Nord). Un dibattito che resta piatto anche negli ambienti della società d'opinione presumibilmente progressista, che si ferma alla dicotomia “o con Gheddafi o con la Nato”. Non possiamo accontentarci di quanto ci viene propinato quotidianamente e, per avere una visione più lucida e consapevole di quanto sta accadendo a due passi da noi, anche in “nostro nome”, sentiamo la necessità di porci alcuni interrogativi.

Dalle piazze al blocco della Commissione Statuto: il filo rosso della mobilitazione No Gelmini

A due anni dall’inizio dell’Onda, lo scorso autunno ha visto studenti e studentesse tornare a gran voce nelle piazze e dimostrare di non aver perso la voglia di lottare, di riprendere parola sul proprio futuro e di non voler accettare a testa bassa il progetto di smantellamento dell’università pubblica propugnato dalla riforma Gelmini.

Con la conclusione dell’iter parlamentare, il 22 dicembre il ddl Gelmini è diventato legge a tutti gli effetti e con l’inizio del nuovo anno gli atenei italiani si sono messi in moto per renderla effettiva all’interno delle facoltà. All’oggi, questo processo si concretizza nella Commissione Statuto, un organo creato più o meno unilateralmente dall'alto nelle singole università ed incaricato di riscrivere lo Statuto delle facoltà secondo i nuovi dettami della legge Gelmini; i nuovi regolamenti dovranno essere redatti in forma di bozza entro aprile e convalidati nel mese di luglio.

La scelta dei membri partecipanti alla Commissione Statuto è di tipo elettivo e prevede la presenza di rappresentanti di tutte le figure che vivono l’università (dai docenti, ai tecnici amministrativi, ai ricercatori, agli studenti) ma vede di fatto l’egemonia decisionale del Rettore e della compagine baronale. Tuttavia, nei mesi scorsi abbiamo assistito a lunghe diatribe e lotte per accaparrarsi un posto a sedere nella Commissione, anche e soprattutto da parte di chi fino a poco tempo prima sbandierava la necessità di bloccare a tutti i costi il percorso della riforma.

sabato 9 aprile 2011

[L'angolo del tazebao] Un articolo da "Limes" per riflettere sull'uso dell'informazione per giustificare la guerra in Libia

Un interessante articolo preso da "Limes" che si occupa dell'informazione sulla questione libica, che nonostante non sia condivisibile in tutte le sue parti, è interessante perchè oltre a riprendere alcuni episodi di disinformazione accettati dai media main-stream, come quello delle false fosse comuni, va a mostrare come si è creata quella dicotomia "o con gheddafi o con l'intervento" che noi rifiutiamo fortemente poichè vogliamo crarci un punto di vista che tenga conto delle sfumature e che non semplifichi una questione drammatica come quella di una guerra in uno scontro tra buoni e cattivi (in cui l'immagine dei buoni e dei cattivi viene delineata dai media). Dicono che scienze politiche sia "la facoltà di cambiare il mondo", noi come collettivo di quella facoltà "il mondo" proviamo a capirlo e per questo rifiutiamo di semplificarlo e stilizzarlo quindi ci poniamo e cerchiamo di rispondere a domande come: chi sono i ribelli? chi si è posto alla loro guida? cosa muove l'intervento occidentale?

[L'angolo del tazebao] Cremaschi: «Disobbedisco al documento della Cgil sulla contrattazione»

La Cgil intende ripartire dalla contrattazione nazionale con un documento, ma ancora non c’è nulla di ufficiale. 
Non proprio. C’è un documento di cui ha discusso la segreteria senza alcun dissenso all’interno. E quindi sarebbe un gravissimo errore sottovalutarlo, perché non è un documento dell’esperto di turno. E’ stato fatto uscire prima dello sciopero generale per chiarire quale è il vero atteggiamento della Cgil verso l’iniziativa. Uno sciopero generale a metà, di quattro ore invece che otto e non contro la Confindustria. Lo stesso segnale che viene dato a Cisl e Uil, invitandoli a superare le incomprensioni del passato.

Il documento non sembra avere grandi idee innovative sulla contrattazione… 
Quel documento parte da una minimizzazione e uno stravolgimento della realtà, perché quando dice, in premessa, che su 89 contratti fatti 83 sono unitari e 6 sono separati vuole sostenere una tesi falsa e strumentale. Falsa, perché quei sei contratti separati riguardano la maggioranza dei lavoratori, circa sette milioni e mezzo. Strumentale, perché punta dritta all’accordo con Confindustria, Cisl e Uil. Il documento parte dal presupposto che le cose non vanno così male e quella di Marchionne è una eccezione. E’ da ciò che deriva uno sciopero generale il più innocuo possibile verso i padroni.

Il cedimento più importante però mi sembra che ci sia sul contratto nazionale. 
Il merito è una catastrofe perché è un venire incontro a tutti i desiderata degli imprenditori e dei sindacati che hanno firmato l’accordo separato del 2009. Non sposa certo le posizioni estreme di Marchionne, ma sulla riduzione drammatica del ruolo del contratto nazionale che viene ridotto a un contratto nazionale cornice si va in quella direzione.

venerdì 8 aprile 2011

[L'angolo del tazebao] La guerra di Sarkò

La data di scadenza di Sarkò si avvicina. Manca un anno alle prossime elezioni presidenziali in Francia. E la partita è alquanto compromessa anche per chi, come Sarkozy, si alza presto e lavora tanto. Non basta la frenesia per salvare la propria poltrona, così ha deciso di sparare a raffica su vari fronti, in modo da azzeccare – forse – qualche bersaglio. Dopo il terremoto di Fukushima, il paladino del nucleare si è buttato sulla Libia. Una piccola guerra veloce e indolore, tanto per rovesciare un tiranno, arruffare en passant un po’ di petrolio, e battere sul tasto sempre efficace della Francia volenterosa e giusta che difende i diritti umani e i valori universali.

Che la guerra non sia stata né veloce né indolore e rischi ora di avere un effetto boomerang, era solo una remota ipotesi. Così i fini strateghi dell’Eliseo hanno pensato bene di aprire un altro fronte, questa volta in Costa D’Avorio. Non a caso Gilles Labarthe, autore di «Sarkò l’africano», parla di «un cow boy guerrafondaio» in cerca di colpi mediatici, anche se hanno il sapore della Françafrique e dell’ingerenza. Il dibattito sulla laicità – leggere contro l’islam – lanciato dal partito del presidente, è la ciliegina sulla torta e ha prodotto un libricino e tante spaccature tra la destra moderata e la destra della destra che fa l’occhiolino a Le Pen figlia.

[L'angolo del tazebao] Braccio di ferro a spese dei migranti

“Immigrati, scontro Italia-Francia”, titola La Stampa. Dopo la decisione del governo italiano di concedere permessi di soggiorno temporanei ai migranti provenienti dal Nordafrica per allentare la pressione sui propri centri di detenzione, Parigi ha annunciato che non riconoscerà tali permessi e continuerà a respingere chi cerca di varcare le sue frontiere. Il ministro dell’interno italiano Roberto Maroni, che oggi dovrebbe incontrare a Milano il suo omologo francese Claude Gueant per discutere la questione, ha risposto che per fare ciò la Francia dovrebbe "uscire da Schengen o sospendere il trattato", e ha aggiunto: "Capisco che ci sono le elezioni in Francia nel 2012 e che Sarkozy ha la concorrenza dell’estrema destra, ma mostrare i muscoli è sbagliato". La Stampa conferma la tesi di Maroni, ma ricorda anche che “tra Francia e Italia è in corso da tempo una guerra fredda che ha per teatro soprattutto la finanza [con i casi Edison, Parmalat e Generali]”, e che si ripercuote adesso “sulla pelle di migliaia di migranti tunisini che parlano francese e vogliono la Francia”.

giovedì 7 aprile 2011

[L'angolo del tazebao] Bombe su Tripoli. L'idea inglese: mercenari contro Gheddafi

La Libia punta il dito verso la Gran Bretagna: sono gli aerei britannici ad aver colpito il campo petrolifero di Sarir, nel sud della Cirenaica, uno dei più vasti e importanti del Paese, e danneggiato l'oleodotto che lo collega al porto mediterraneo di Hariga. Londra non replica e sul Guardian affiora un'idea nuova per 'sbloccare' la guerra: i mercenari. Pagati dagli arabi.

Aerei non meglio identificati hanno sorvolato stamattina la capitale libica Tripoli, dove almeno tre forti esplosioni sono state udite alla periferia est. Lo hanno riferito fonti giornalistiche sul posto. Mentre secondo un portavoce degli insorti, bombardamenti della Nato hanno colpito forze filo-Gheddafi a Misurata.

Da Tripoli a Londra

La Libia punta il dito verso la Gran Bretagna: sono gli aerei britannici ad aver colpito il campo petrolifero di Sarir, nel sud della Cirenaica, uno dei più vasti e importanti del Paese, e danneggiato l'oleodotto che lo collega al porto mediterraneo di Hariga. Londra non replica e sul Guardian affiora un'idea nuova per 'sbloccare' la guerra: i mercenari. Pagati dagli arabi.

lunedì 4 aprile 2011

[L'angolo del tazebao] Italia – Libia. Storia di un voltafaccia

L’interlocutore dell’Italia? Ma che domande, è il consiglio degli insorti. Oggi il ministro degli Esteri Franco Frattini, non ha dubbi, e tra il Colonnello Gheddafi e le truppe che da settimane ormai combattono per rovesciarlo sceglie queste ultime. Peccato che fino a ieri, tra trattati di amicizia, baciamano (Berlusconi), dispiacere per la sorte del Raìs (sempre Berlusconi) visite di cortesia e incontri informali, il Raìs fosse il migliore amico dell’Italia. Ecco una piccola antologia dei voltafaccia del nostro ministro degli Esteri. Da agosto 2010, quando Gheddafi visita il nostro Paese tra le polemiche (e il governo difende a spada tratta la sua visita, hostess incluse) ad oggi. Da “l’amicizia con Gheddafi ci avvantaggia”, all’orrore per il dittatore e il “suo bagno di sangue”, dal plauso al colonnello che controlla i tumulti all’abbandono: “Gheddafi non è più l’interlocutore di nessuno”.

28 marzo, Gheddafi vada in esilio
”Credo che l’Unione africana abbia la possibilità per formulare una proposta utile” che porti Gheddafi a ”lasciare il potere”: ”Una Tripoli assediata non può essere rasa al suolo dalle bombe della coalizione”.  Franco Frattini a La7.

[L'angolo del tazebao] Libia, insorti vendono petrolio

Firmato contratto di vendita di un milione di barili di greggio, accordi anche con Qatar: ma Gheddafi bombarda gli impianti

Gli insorti libici, organizzati nel Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi, hanno annunciato di aver stipulato almeno due accordi di vendita di greggio, uno dei quali con il Qatar.  A riferirlo è l'agenzia statunitense di settore Platts, citando a sua volta il responsabile dei ribelli per il settore petrolifero, Wahid Bougaighis.

Gli insorti estraggono petrolio presso gli impianti di Mesla e Serir, situati rispettivamente a est e a sud del paese, aree attualmente sotto il loro controllo. A prelevare il primo carico - un milione di barili di greggio - sarà la petroliera Equator, che batte bandiera della Liberia, anche se ancora non è chiaro chi sia il reale destinatario del carico. Il responsabile Bougaighis ha parlato soltanto di un accordo già firmato, dando per certo il prelievo da parte della petroliera in arrivo presso il porto di Tobruk. La risposta di Gheddafi non si fa attendere: l'emittente satellitare al-Jazeera riporta la notizia di bombardamenti degli impianti in questione da parte delle forze fedeli al Rais.

giovedì 31 marzo 2011

[L'angolo del tazebao] Un pò di menzogne sulla guerra in Libia

Si dice che la prima vittima della guerra sia la verità. Le operazioni militari in Libia e la risoluzione 1973 che ad esse fornisce base giuridica non fanno eccezione a questa regola.

di Thierry Meyssan, analista politico francese, fondatore e presidente del Rete Voltaire e dell’asse della conferenza Axis for Peace

Per fornire un’immagine a fosche tinte, la stampa atlantista ha fatto credere che le centinaia di migliaia di persone in fuga dalla Libia stiano tentando di sfuggire a una strage. Le agenzie di stampa hanno evocato migliaia di morti e parlato di “crimini contro l’umanità”. La Risoluzione 1973 ha messo in guardia il Tribunale penale internazionale contro possibili “attacchi sistematici o generalizzati diretti contro i civili”.

In realtà, il conflitto libico può essere letto sia in termini politici che in termini tribali. I lavoratori immigrati sono stati le prime vittime. Essi sono stati brutalmente costretti ad andarsene. Gli scontri tra lealisti e ribelli sono stati realmente sanguinosi, ma non nelle proporzioni propagandate. Non vi è mai stata alcuna repressione sistematica contro i civili.

mercoledì 30 marzo 2011

Tutti i mercoledi in via Plana!

[L'angolo del tazebao] Attacchi a terra e forze speciali la vera guerra degli alleati

Non solo no-fly zone: così combatte l'Occidente. Il pattugliamento umanitario è una favola: ora le azioni militari si avvicinano sempre più al terreno. Lo spiega l'ex comandante delle forze Nato durante la missione di pace in Kosovo

di Fabio Mini

La strategia moderna contempla la guerra come un fatto normale, senza fine, senza misura certa della vittoria o della soglia della capitolazione. I bombardamenti di questi giorni in Libia, i ribelli che combattono e i civili che scappano fanno parte di questa normalità così come sono normali la disparità delle forze in campo, la volontà di usarle e la varietà di posizioni espresse sul piano politico-diplomatico. Una volta demandata la responsabilità delle operazioni militari a qualcun altro, in questo caso fingendo che la Nato sia un "altro", la guerra può continuare con i suoi ritmi normali. La preoccupazione non è la Libia, ma cosa fare di Gheddafi senza strapazzarlo troppo. Bisogna anche non apparire troppo truci o troppo armati, specialmente nelle intenzioni. Il presidente Obama ha detto che l'America non ha interessi vitali in Libia e gli si sono accodati tutti. La Germania si era già sfilata assestando un colpo micidiale alla Nato, diversi altri paesi dicono di non voler combattere e la Turchia di Erdogan non solo ha promesso solennemente che non bombarderà mai il popolo libico ma vuole addirittura attribuire a Gheddafi la virtù taumaturgica e catartica di dirigere la Libia nella transizione democratica contro il suo stesso regime.

[L'angolo del tazebao] Deboli al fronte, forti nel mondo I ribelli accolgono i primi ambasciatori

Gheddafi respinge ancora l'avanzata degli insorti. I suoi miliziani riprendono Al Assun, bloccando la marcia verso Sirte. E' il momento delle trattative segrete fra i diplomatici e i capi delle tribù

di Bernardo Valli

Quale sorte riservare a Gheddafi è l'argomento che ha impegnato nelle ultime ore buona parte della società internazionale, riunita a Londra. Da qui, dove la guerra civile è tuttora in corso, si ha l'impressione che si sia discusso il prezzo della pelle dell'orso, non dico prima di averlo ucciso, ma perlomeno catturato. O messo fuori gioco. Gheddafi è infatti sempre arroccato in Tripolitania. Il raìs è difeso dai (finora) fedeli giannizzeri, e la sua fine politica o fisica non è in vista; anche se resta possibile in qualsiasi momento; un tradimento dei cortigiani affretterebbe i tempi. Le esplosioni udite ieri vicino alla sua residenza di Tripoli potrebbero avere il valore dei rintocchi delle campane un tempo annuncianti l'imminente morte di un uomo o una donna della comunità. Per ora lui è comunque vitale e combattivo, al punto da paragonare i nemici ad Adolf Hitler. E nei nemici comprende anche i dirigenti dei Paesi della coalizione che bombarda dal cielo le sue truppe.

[L'angolo del tazebao] Ventimiglia andata e ritorno

"Primavera araba". "Qui comincia l'inverno europeo" - by Chappatte

Dopo la traversata del Mediterraneo e la fuga dai cie italiani, i migranti cercano di entrare in Francia per riabbracciare i parenti e cercare un lavoro. Ma la polizia francese continua a respingerli, e nella cittadina di frontiera si prepara un'altra emergenza.

di Giuseppe Salvaggiulo per La Stampa

"A noi l’Italia non interessa. Siamo di passaggio, vogliamo andare in Francia ma lì non ci vogliono". Bivacchi in stazione. Muretti trasformati in orinatoi. Siesta nei giardini comunali. Accampamenti lungo il fiume Roia. Probabilmente clandestini, forse rifugiati, certo disperati. Migranti. Se Lampedusa è il collo, Ventimiglia è il fondo della bottiglia in cui si agita questa miscela esplosiva. Vite di scarto in transito - jeans, scarpe da tennis, telefonino come bagaglio - e cittadini inquieti, che fermano per strada il sindaco Gaetano Scullino: "Quando li portate via?". La stazione di Ventimiglia è la terza tappa italiana per gli immigrati partiti dalla Tunisia. Dopo l’approdo a Lampedusa, il trasferimento nei centri temporanei sulla penisola - Bari, Foggia, Crotone - da cui è facile scappare. E via in treno verso Nord. Da un confine a un altro. 


martedì 29 marzo 2011

[L'angolo del tazebao] Gli aerei americani hanno poco a che fare con la «no fly zone»

Smentita l’affermazione che gli Usa non stanno fornendo supporto diretto agli insorti. AC 130H «Spectre» e «A 10» sono velivoli per l’appoggio alle truppe dei ribelli anti-Gheddafi

Barack Obama vorrà pure ridurre l’impegno militare in Libia e il Pentagono ha richiamato alcune unità navali. Ma i mezzi che gli Usa stanno impiegando rivelano chiaramente le intenzioni. Fonti militari hanno annunciato che nel paese nord africano operano gli AC 130H “Spectre” e gli "A 10". Sono due aerei concepiti per distruggere carri armati, mezzi, pezzi d’artiglieria. Con un potere di fuoco devastante hanno partecipato a tutte le recenti campagne statunitensi, dall’Iraq all’Afghanistan. Lo “Spectre” è un erede di un velivolo impiegato per la prima volta in Vietnam ed è una versione modificata del celebre C 130 Hercules da trasporto. Può essere armato con un pezzo da 105 millimetri, cannoncini da 40 e 25 millimetri guidati da sistemi sofisticati. L’aereo può ingaggiare due obiettivi simultaneamente e i suoi apparati correggono il tiro. E’ devastante quando affronta colonne in movimento ma è anche accurato nell’individuare bersagli singoli. LO “Spectre” può solo sparare dal lato sinistro e per questo “orbita” attorno al bersaglio. L’equipaggio è composto da 5 uomini più 8 addetti alle armi. In Libia è stato probabilmente usato contro i corazzati delle Brigate Khamis che bombardano le città ribelli e che difendono la zona occidentale.

[L'angolo del tazebao] Gli intellettuali si scontrano sulla guerra umanitaria

L'intervento in Libia ha scatenato un accesso dibattito in Francia, paese che ha preso l'iniziativa degli attacchi aerei nonché patria del concetto di "ingerenza umanitaria".

Alle posizioni del popolarissimo filosofo Bernard-Henri Levy, che secondo Marianne è l'ispiratore della linea diplomatica francese e avrebbe convinto a intervenire Nicolas Sarkozy, diversi intellettuali hanno risposto sottolineando i limiti dell'intervento militare.

Rony Brauman, ex presidente di Medici senza frontiere e specialista in missioni umanitarie, ha dichiarato in un'intevista a Libération:

"Continuo a non credere alle virtù dei bombardamenti aerei per installare la democrazia o 'pacificare' un paese. La Somalia, l'Afganistan, l'Iraq e la Costa d'Avorio stanno lì a ricordarci la dura realtà della guerra e la sua imprevedibilità. 'Proteggere la popolazione' significa in pratica cacciare Gheddafi e sostituirlo con un Karzai locale, se seguiamo la logica, o dividere il paese per congelare la situazione. In entrambi i casi non saremo però in grado di gestire le conseguenze".

lunedì 28 marzo 2011

[L'angolo del tazebao] Libia, petrolio al sicuro

Dopo la presa di Ras Lanuf i ribelli hanno ripreso i pozzi, adesso la coalizione lavora alla soluzione diplomatica

Il regime di Tripoli ha promesso per Sirte una nuova Stalingrado. La città natale del rais, a questo punto, diventa il confine psicologico della Tripolitania. L'avanzata dei ribelli, nelle ultime ore, è tornata a essere inarrestabile. Ajdabiya, Brega, Ras Lanuf. Il petrolio, in parole povere.

Il puzzle, sempre più, trova la sua completezza. I ribelli, alle porte di Tripoli, sono stati abbandonati a loro stessi nei giorni scorsi. Il regime ha ripreso l'iniziativa, arrivando alla periferia di Bengasi. Solo allora si è mossa la comunità internazionale, con la no fly zone estensiva, visto che non si è limitata a impedire all'aviazione di Gheddafi di attaccare, ma ha anche bombardato le colonne dell'esercito libico, rovesciando l'esito della guerra.

Grazie anche alle armi nuove di zecca che sono arrivate, alla fine, nelle mani degli insorti permettendo loro di avere ragione nel corpo a corpo con i blindati dell'esercito che rinculano verso Sirte e Tripoli, mentre a Misurata si combatte casa per casa.

venerdì 25 marzo 2011

[L'angolo del tazebao] Libia e Bahrein: interventi umanitari selettivi

Gli Emirati, dopo il Qatar, si uniscono alla coalizione ma chiedono il silenzio occidentale sul massacro a Manama

Dodici aerei da combattimento. Quanto valgono? Poco, da un punto di vista militare. Troppo da un punto di vista economico. Tanto da un punto di vista politico, se arrivano dagli Emirati Arabi Uniti.

Sei Mirage di produzione francese, sei F16 di produzione statunitense. I sette emirati del Golfo Persico, dal 25 marzo 2011, li hanno messi a disposizione della missione in Libia che, da lunedì, passerà sotto il comando Nato e con la benedizione del Consiglio di Sicurezza Onu. Mancava un tassello, però. Anzi due. Da un lato l'Unione Africana che si è chiamata fuori dal primo minuto ma che, pare su iniziativa italiana, potrebbe rientrare nella dimensione diplomatica della crisi libica, magari offrendo al Colonnello Gheddafi un posto dove andare in esilio. L'altro tassello mancante è il mondo arabo. In fiamme e quindi scosso, in difficoltà.

La Lega Araba, che più passano gli anni più non si capisce bene chi rappresenti, per bocca del suo segretario generale Amr Moussa approva la no fly zone, poi si rimangia tutto e parla di eccesso di zelo francese nel bombardamento. Di nuovo, in poche ore, ricambia idea e sostiene la protezione dei civili libici. Una voce univoca, però, non c'è. Yemen, Siria, Giordania e tanti altri paesi hanno il loro bel da fare, ma soprattutto il Golfo Persico è in bilico. Ecco perché una presenza araba nella coalizione ha un peso politico enorme, ma ha anche un prezzo.

[L'angolo del tazebao] Generazione revolution: da Benghazi a Lampedusa

A volte una chiacchierata aiuta a chiarirsi e a chiarire le idee. Soprattutto quando l'interlocutrice è una come Alma Allende, che è una che ha seguito tutta la rivoluzione in Tunisia per il sito Rebelion. Le domande sono le sue, e le risposte le mie, che da due settimane sto qui a Benghazi con i ragazzi della rivoluzione. Dove sta andando la Libia? Perché in giro tutti gridano al complotto americano o islamista? Quale è stato il ruolo dell'informazione? Si può essere imparziali in un posto come questo? E infine Lampedusa. La Libia c'entra davvero qualcosa il boom degli sbarchi delle ultime settimane? Leggi l'intervista.

Gabriele, adesso che si è deciso l'intervento dell'ONU e le bombe degli alleati cadono sulla Libia, ci sono delle voci antimperialiste che tentano di dimostrare che la rivolta era stata preparata dall'inizio dalle potenze occidentali. Tu cosa ne pensi? C'è stato un disegno esterno o sono state rivolte popolari spontanee come in Tunisia e Egitto? Non sono assolutamente d'accordo con chi grida al complotto. In Libia, come in Tunisia, in Egitto, in Yemen, e adesso anche in Siria, le rivolte sono state spontanee e popolari e non sono il frutto di complotti americani, ma piuttosto la risposta più naturale che potevamo aspettarci dopo decenni di dittature sostenute dalle grandi potenze in nome della stabilità e dei buoni affari. Stupisce che certe teorie cospirazioniste arrivino dagli ambienti di sinistra. Ma forse è anche perché queste rivoluzioni trascendono e superano le categorie della sinistra. È un paradosso interessante da analizzare. In piazza al Cairo, come a Tunisi e a Benghazi, ci sono soprattutto i poveri. Ma i poveri non chiedono salari, non gridano contro i padroni, non si identificano come classe operaia. O almeno non ancora. Prima di tutto chiedono la libertà e prima di tutto si identificano come cittadini. E uno degli strumenti principali che gli permette di organizzarsi è un oggetto di consumo. Forse il simbolo dei beni più futili del consumismo: il computer con cui mettersi in rete, e i videofonini per registrare quello che succede per strada. Infine c'è un elemento generazionale. Sono paesi giovani, al contrario dell'Italia dove il cittadino medio è cresciuto nella guerra fredda. Qui la maggior parte della popolazione ha meno di 25 anni e spinge per il cambiamento. Un cambiamento che sulla riva nord non sappiamo capire, anche per un approccio razzista e coloniale di cui non riusciamo a liberarci. L'Europa si ritiene unica depositaria della democrazia. Come se fosse un concetto che potesse appartenere a qualcuno e non ad altri. E ritiene impossibile che un paese musulmano possa aspirare alla libertà anziché all'oscurantismo religioso. Ecco perché attecchiscono le tesi cospirazioniste. Non riusciamo a accettare che alla “nostra” decadenza corrisponda il “loro” risorgimento.

mercoledì 23 marzo 2011

[L'angolo del tazebao] E se i buoni non fossero così buoni?

Uno scenario troppo semplificato che può riservare sorprese

di Maurizio Matteuzzi

I buoni contro i cattivi, i nostri contro i loro, il 7° cavalleggeri contro gli indiani. Una semplificazione molto televisiva per un caso molto complicato. Il cattivo non può essere che Gheddafi. Il suo ruolo se l'è guadagnato di diritto in 40 anni di potere assoluto, abusi ed eccessi, bizzarrie ed eccentricità (anche se non tutto quello che ha fatto è stato una schifezza).

I buoni sono i ribelli di Bengasi (ribellarsi è giusto), i «rivoluzionari del 17 febbraio» che hanno strappato a Gheddafi tutto l'est libico, l'indocile Cirenaica. Quelli che quasi tutti fin dall'inizio hanno chiamatio i «civili» (così da accreditare la guerra giusta dell'Onu). «Civili», ma non come quelli del boulevard Bourghiba di Tunisi, della piazza Tahir del Cairo, della Piazza della perla di Manama. Dalle stesse immagini tv i «civili» di Bengasi sono miliziani armati di tutto punto, con tank e contraerea capaci di abbattere aerei governativi e pilotare jet da combattimento.

Sono loro che, una volta conclusa la guerra umanitaria dell'Occidente e liquidato finalmente Gheddafi, saranno la nuova Libia.

martedì 22 marzo 2011

L'angolo del tazebao!

Definizione quasi etimologica
Progetto entusiasta sui muri ed in rete
Simbolicamente e meravigliosamente sintetizzato sotto!

mercoledì 16 marzo 2011

Tutti i mercoledi: riunione del Collettivo di Scienze Politiche!

Oggi il Collettivo di Scienze Politiche si è ritrovato in assemblea in un'aula di via Plana:

  • abbiamo deciso di darci come appuntamento assembleare il mercoledi!

Quindi, d'ora in poi, tutti i mercoledi, alle 17:30, in via Plana, ci sarà la riunione del Collettivo di Scienze Politiche.

Nell'annosa ricerca di uno spazio dentro il deserto della facoltà nostrana...
We want our space!

domenica 6 marzo 2011

Il Collettivo di SciPol si riunisce!

Lunedi 7 marzo, alle ore 17,
ci ritroveremo nell'atrio di via Plana 10!

Prima riunione del neonato
Collettivo di Scienze Politiche!

Scienziati politici, siete tutt* invitati!

mercoledì 23 febbraio 2011

Collettivo di Scienze Politiche, la facoltà di cambiare il mondo!

Il Collettivo di Scienze Politiche dell'università di Torino è uno spazio comune, è luogo di differenza quindi di ricchezza, è teatro del meticciato quindi della sperimentazione collettiva. Il Collettivo di Scienze Politiche è motore di formazione e conflitto, è articolazione organizzativa della trasformazione!

Cooperare per cambiare, questo è per noi l'assunto per il quale creare nella nostra facoltà un collettivo che sia per davvero uno spazio studentesco dentro cui confrontarsi e dibattere, organizzarsi e progettare, dentro le lotte, per le lotte, nel recinto della fabbrica sociale università come al di fuori di essa!

Dopo il ciclo di lotta dell'Onda del 2008, dopo la straordinarietà delle pratiche di blocco del movimento del 2010, come studenti e studentesse di Scienze Politiche abbiamo ritenuto fosse giunta l'ora di aggiungere un altro pezzettino di organizzazione a disposizione dei movimenti studenteschi, pensandoci come scienziati politici in formazione, certo non dentro una dimensione corporativa (!) ma al fianco di tutti coloro non hanno mai smesso di sognare e volere ribellarsi allo stato di cose presenti.

E per far questo partiamo dal mettere in discussione quello che quotidianamente viviamo in facoltà: Scienze Politiche sarebbe "la facoltà di capire il mondo"?! Beh, noi lo vogliamo cambiare perchè di capirlo e sopportarlo ci siam stancati!

Collettivo di Scienze Politiche
23 febbraio 2010

Il Collettivo di Scienze Politiche si trova
tutti i lunedì alle 17 nell'atrio di Via Plana 10