mercoledì 20 aprile 2011

Corteo contro il nucleare a Trino Vercellese!

Scienze Politiche contro l'energia nucleare! Anche noi ci saremo!

Appello per l’adesione e la partecipazione al corteo antinucleare a Trino Vercellese il 23 aprile 2011.

In un momento come questo, con il rilancio del nucleare da parte del Governo posticipato di un anno, la gestione fallimentare della pattumiera nucleare presente nella nostra Regione, la questione trasporti delle scorie radioattive e l’importanza del prossimo Referendum del 12/13 Giugno, come un passaggio nella lotta contro la rinascita del nucleare in Italia, si vuole portare a Trino, in concomitanza ma non in alternativa all’appuntamento di Caorso, un momento che veda coinvolto il territorio che paga sulla propria pelle il peso della vecchia esperienza nucleare italiana. Anche grazie al Referendum dell’87 tale esperienza  sembrava essersi conclusa e invece oggi questa terra rischia di vedersi destinata, qualora i programmi del Governo fossero confermati, sito per la costruzione di una centrale. Ribadendo ancora la volontà del Governo, di fatto già presente e operante, di costruire nuovi depositi per le scorie radioattive a Saluggia, ci vediamo convinti nel lanciare  il corteo  Antinucleare,  che pensiamo debba avere parole d’ordine come:

lunedì 18 aprile 2011

Democrazia a Scienze Politiche?! La facoltà di non permettere

All'attenzione della presidenza di Scienze Politiche, a tutt* coloro che studiano lavorano e vivono la facoltà.

Scriviamo per rendere pubblico e per chiedere conto dell'atteggiamento tenuto giovedì 14 Aprile dalla nostra Facoltà nei confronti del neonato Collettivo di Scienze Politiche. In tale data abbiamo organizzato un incontro con Cosimo Caridi e Paolo Hutter, due giornalisti freelance appena tornati dalla Tunisia, per proiettare le video-interviste da loro realizzate nel viaggio tunisino e quindi per aprire un dibattito sui processi rivoluzionari del Nordafrica. Ma dalla Facoltà di Scienze Politiche, che si definisce facoltà di capire il mondo (...), abbiamo trovato solo porte chiuse in faccia e non solo in senso metaforico, visto che sono state barricate aule vuote per impedirci di tenere l'iniziativa e successivamente ci è stata negata anche la possibilità di poter usufruire della corrente elettrica per proiettare i video nel cortile di via Plana! Che tristezza poi vedere come il feticcio del permesso sia degenerato fino a far diventare un problema anche aver preso in prestito due sedie, per non far sedere per terra i nostri invitati, destino toccato invece a tutti gli studenti e le studentesse venut* al dibattito.

Il Collettivo di Scienze Politiche aveva deciso lunedì di organizzare l'incontro, cogliendo la possibilità presentatasi ad inizio settimana, ed il giorno successivo ha verificato la disponibilità di un'aula, consapevole di essere fuori dai tempi richiesti dalla burocrazia (15 giorni di anticipo!) ma ben sapendo, griglia delle aule alla mano, che un'aula libera nell’edificio di via Plana quel giorno ci sarebbe stata. Dopo aver provato in vari modi ad ottenere l'utilizzo di un’aula, non riuscendoci per impedimenti vari ed eventuali, ci siamo recati in presidenza dove la persona che ci ha gentilmente ricevuti - che ci è sembrata propensa a trovarci un’aula - ha contattato il preside Fabio Armao, riferendoci poi che non c'erano aule disponibili e che l'aula che avevamo scoperto essere libera (aula P) era di competenza d'interfacoltà, quindi la presidenza non aveva autorità su di essa... Sicuri che quell’aula fosse libera, abbiamo deciso di prendercela per svolgerci l’incontro, convinti del nostro diritto ad utilizzarla, dal momento che paghiamo tasse non indifferenti per iscriverci ad un’università di cui non vogliamo considerarci dei clienti ma che viviamo e attraversiamo quotidianamente in prima persona assieme alle persone che ci studiano, lavorano, insegnano, ricercano. Pur di impedirci di tenere l'incontro è stata fatta una scorrettezza palese: la Facoltà ha spostato il previsto seminario dei ricercatori di Scienze Politiche nell'aula in cui ci trovavamo (aula P) - che poche ore prima ci era stato detto non essere di competenza della Facoltà– e ha chiuso a chiave per impedirci di accedervi le porte dell'aula assegnata in precedenza ai ricercatori (aula A).

venerdì 15 aprile 2011

[L'angolo del tazebao] L'Onu pensa a una nuova risoluzione sulla Libia. Non si esclude l'intervento dei caschi blu

A ventiquattr'ore dall'intervento di Obama, Cameron e Sarkozy pubblicato su alcuni quotidiani internazionali in cui si afferma che è «impossibile immaginare che la Libia abbia un futuro con Gheddafi», le Nazioni Unite non escludono un dispiegamento dei Caschi Blu in caso di un cessate il fuoco tra il governo di Tripoli e i ribelli di Bengasi. Lo ha riferito il capo del dipartimento per il peacekeeping dell'Onu, Alain Leroy.

«Sia chiaro che è prematuro parlarne adesso, ma se ci fosse un cessate il fuoco, esso andrebbe monitorato, e si potrebbe ricorrere ai militari delle Nazioni Unite», ha detto Leroy durante una conferenza stampa al Palazzo di Vetro. Che ha sottolineato come l'Onu stia lavorando ad un piano che potrebbe avere un futuro, ma che al momento «non è sul tavolo del Consiglio di Sicurezza», cui spetterebbe il via libera al dispiegamento dei militari.

La Francia chiede una nuova risoluzione Onu

martedì 12 aprile 2011

[L'angolo del tazebao] Una guerra che divide

Da alcuni giorni ho deciso di sospendere la collaborazione al manifesto per dare sfogo al mio disagio nei confronti del giornale, della politica della sinistra in generale e delle complicità diffuse con la guerra contro Gheddafi (perché di questo si tratta). Non scriverò dunque un articolo vero e proprio ma una lettera-intervento. Sono spinto a intervenire dallo scambio un po' rude fra Tariq Ali e Rossana Rossanda a proposito della guerra. L'articolo di Tariq Ali conteneva due considerazioni a mio parere fondate e una conclusione discutibile. Aveva il difetto però di usare un linguaggio grossolano, del tutto improprio in un dibattito civile. I due punti interessanti dell'articolo - oggetto poi della reprimenda di Rossana - riguardano il carattere spurio della rivolta di Bengasi e la volontà dell'Occidente (il triumvirato imperiale lo chiama Chomsky) di dar prova di mantenere malgrado tutto il controllo dell'evoluzione in atto nel mondo arabo e intanto nel Nord Africa. Dell'aspetto dell'articolo su cui dissento dirò dopo. La risentita reazione di Rossanda configura in modo plastico il mio distacco dal manifesto. Rossana non accetta nessuna equidistanza fra i rivoltosi e il regime e di fatto sposa la necessità della guerra visto che i rivoltosi hanno preso le armi e sollecitano i raids. Prendere le distanze da alcuni sottintesi di Sarkozy o di chi per lui, come fa anche Rossanda nel suo articolo, non ha molto senso perché la tesi in campo è appunto che la guerra di Francia-Nato-Onu speculi ad arte sul pretesto di difendere la popolazione libica per legittimarsi ma abbia altri obiettivi, più pesanti.

[L'angolo del tazebao] Napoli porto di guerra

Le portaerei dirette in Libia hanno sostato nel porto partenopeo cariche di bombe, missili e reattori nucleari

Vivere a contatto con un vulcano abitua l'individuo a un fatalismo quotidiano. Ma vivere con lo spettro nucleare a pochi chilometri è cosa ben diversa. Non bastava ai napoletani la presenza del Vesuvio e l'emergenza monnezza a mettere a rischio la loro salute. Ormai da tempo, il pericolo più grande viene dal mare.

Si chiamano Uss Florida e Uss Newport News, e sono due sommergibili a propulsione nucleare. Se ne vanno a spasso per il Mediterraneo, e a volte sostano nei porti più popolati d'Italia. A Napoli il Florida è rimasto in baia tra il 3 e il 4 marzo. Il Newport News l'8 marzo. Cosa succederebbe se si verificasse un incidente a bordo di uno di questi mostri marini?

Come si può vedere dalla foto, i sommergibili sono a pochissimi chilometri da una delle coste più densamente popolate del Mediterraneo. Le due unità navali appartengono l'una alla classe 'Los Angeles' (la Newport News), l'altra alla classe Ohio. La Newport News è stata costruita nella prima metà degli anni '80, è lunga 110 metri e pesa 6.184 tonnellate. Può imbarcare 110 uomini e - come scrive Antonio Mazzeo su Antimafia 2000 - dispone di un imponente arsenale di morte (siluri Mk48 ADCAP, missili per attacco a terra "Tomahawk" block 3 SLCM con una gittata di 3.100 chilomteri e missili anti-nave "Harpoon")". La loro spinta è assicurata da un reattore nucleare ad acqua pressurizzata S6G, dove la S sta per Submarine platform, il 6 per Sixth generation e la G per General Electric, la società realizzatrice dell'impianto nucleare con una potenza di 165 MegaWatt.

domenica 10 aprile 2011

Le bombe umanitarie non fermeranno la primavera araba! Né con la Nato, né con Gheddafi!

Con il via libera dell'Onu, l'appoggio della Nato, il sostegno di alcuni Stati mediorientali “alle dipendenze” dell'Occidente, è iniziata da alcune settimane la guerra in Libia. Sui giornali viene chiamata “guerra umanitaria”, si annunciano “no fly zone”, ma noi sappiamo che è una guerra, e che le “nostre bombe” non porteranno la libertà in Libia, così come non lo fecero in Afganistan o Iraq, o in Jugoslavia. In Italia l’intervento è stato accolto con favore: il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ne è il primo sostenitore, anche l'“opposizione” l'ha accolto con favore, nelle trasmissioni televisive i politici litigano su come mai il ruolo dell'Italia all'interno della guerra non è di sufficiente rilievo, dando tutti per scontato che sia un’azione giusta e necessaria. Ma, mentre la politica istituzionale si occupa di elogiare l’intervento italiano in territorio libico, nel nostro paese questa posizione non viene accolta tout court e il dibattito si apre... Un dibattito importante e necessario che però fa fatica ad accendersi socialmente: per l'inesistente copertura dei media mainstream del dissenso alla guerra, per la sostanziale unanimità politica con cui si sta conducendo il conflitto e la faziosità strumentale delle argomentazioni di chi opportunisticamente la critica (vedi Lega Nord). Un dibattito che resta piatto anche negli ambienti della società d'opinione presumibilmente progressista, che si ferma alla dicotomia “o con Gheddafi o con la Nato”. Non possiamo accontentarci di quanto ci viene propinato quotidianamente e, per avere una visione più lucida e consapevole di quanto sta accadendo a due passi da noi, anche in “nostro nome”, sentiamo la necessità di porci alcuni interrogativi.

Dalle piazze al blocco della Commissione Statuto: il filo rosso della mobilitazione No Gelmini

A due anni dall’inizio dell’Onda, lo scorso autunno ha visto studenti e studentesse tornare a gran voce nelle piazze e dimostrare di non aver perso la voglia di lottare, di riprendere parola sul proprio futuro e di non voler accettare a testa bassa il progetto di smantellamento dell’università pubblica propugnato dalla riforma Gelmini.

Con la conclusione dell’iter parlamentare, il 22 dicembre il ddl Gelmini è diventato legge a tutti gli effetti e con l’inizio del nuovo anno gli atenei italiani si sono messi in moto per renderla effettiva all’interno delle facoltà. All’oggi, questo processo si concretizza nella Commissione Statuto, un organo creato più o meno unilateralmente dall'alto nelle singole università ed incaricato di riscrivere lo Statuto delle facoltà secondo i nuovi dettami della legge Gelmini; i nuovi regolamenti dovranno essere redatti in forma di bozza entro aprile e convalidati nel mese di luglio.

La scelta dei membri partecipanti alla Commissione Statuto è di tipo elettivo e prevede la presenza di rappresentanti di tutte le figure che vivono l’università (dai docenti, ai tecnici amministrativi, ai ricercatori, agli studenti) ma vede di fatto l’egemonia decisionale del Rettore e della compagine baronale. Tuttavia, nei mesi scorsi abbiamo assistito a lunghe diatribe e lotte per accaparrarsi un posto a sedere nella Commissione, anche e soprattutto da parte di chi fino a poco tempo prima sbandierava la necessità di bloccare a tutti i costi il percorso della riforma.

sabato 9 aprile 2011

[L'angolo del tazebao] Un articolo da "Limes" per riflettere sull'uso dell'informazione per giustificare la guerra in Libia

Un interessante articolo preso da "Limes" che si occupa dell'informazione sulla questione libica, che nonostante non sia condivisibile in tutte le sue parti, è interessante perchè oltre a riprendere alcuni episodi di disinformazione accettati dai media main-stream, come quello delle false fosse comuni, va a mostrare come si è creata quella dicotomia "o con gheddafi o con l'intervento" che noi rifiutiamo fortemente poichè vogliamo crarci un punto di vista che tenga conto delle sfumature e che non semplifichi una questione drammatica come quella di una guerra in uno scontro tra buoni e cattivi (in cui l'immagine dei buoni e dei cattivi viene delineata dai media). Dicono che scienze politiche sia "la facoltà di cambiare il mondo", noi come collettivo di quella facoltà "il mondo" proviamo a capirlo e per questo rifiutiamo di semplificarlo e stilizzarlo quindi ci poniamo e cerchiamo di rispondere a domande come: chi sono i ribelli? chi si è posto alla loro guida? cosa muove l'intervento occidentale?

[L'angolo del tazebao] Cremaschi: «Disobbedisco al documento della Cgil sulla contrattazione»

La Cgil intende ripartire dalla contrattazione nazionale con un documento, ma ancora non c’è nulla di ufficiale. 
Non proprio. C’è un documento di cui ha discusso la segreteria senza alcun dissenso all’interno. E quindi sarebbe un gravissimo errore sottovalutarlo, perché non è un documento dell’esperto di turno. E’ stato fatto uscire prima dello sciopero generale per chiarire quale è il vero atteggiamento della Cgil verso l’iniziativa. Uno sciopero generale a metà, di quattro ore invece che otto e non contro la Confindustria. Lo stesso segnale che viene dato a Cisl e Uil, invitandoli a superare le incomprensioni del passato.

Il documento non sembra avere grandi idee innovative sulla contrattazione… 
Quel documento parte da una minimizzazione e uno stravolgimento della realtà, perché quando dice, in premessa, che su 89 contratti fatti 83 sono unitari e 6 sono separati vuole sostenere una tesi falsa e strumentale. Falsa, perché quei sei contratti separati riguardano la maggioranza dei lavoratori, circa sette milioni e mezzo. Strumentale, perché punta dritta all’accordo con Confindustria, Cisl e Uil. Il documento parte dal presupposto che le cose non vanno così male e quella di Marchionne è una eccezione. E’ da ciò che deriva uno sciopero generale il più innocuo possibile verso i padroni.

Il cedimento più importante però mi sembra che ci sia sul contratto nazionale. 
Il merito è una catastrofe perché è un venire incontro a tutti i desiderata degli imprenditori e dei sindacati che hanno firmato l’accordo separato del 2009. Non sposa certo le posizioni estreme di Marchionne, ma sulla riduzione drammatica del ruolo del contratto nazionale che viene ridotto a un contratto nazionale cornice si va in quella direzione.

venerdì 8 aprile 2011

[L'angolo del tazebao] La guerra di Sarkò

La data di scadenza di Sarkò si avvicina. Manca un anno alle prossime elezioni presidenziali in Francia. E la partita è alquanto compromessa anche per chi, come Sarkozy, si alza presto e lavora tanto. Non basta la frenesia per salvare la propria poltrona, così ha deciso di sparare a raffica su vari fronti, in modo da azzeccare – forse – qualche bersaglio. Dopo il terremoto di Fukushima, il paladino del nucleare si è buttato sulla Libia. Una piccola guerra veloce e indolore, tanto per rovesciare un tiranno, arruffare en passant un po’ di petrolio, e battere sul tasto sempre efficace della Francia volenterosa e giusta che difende i diritti umani e i valori universali.

Che la guerra non sia stata né veloce né indolore e rischi ora di avere un effetto boomerang, era solo una remota ipotesi. Così i fini strateghi dell’Eliseo hanno pensato bene di aprire un altro fronte, questa volta in Costa D’Avorio. Non a caso Gilles Labarthe, autore di «Sarkò l’africano», parla di «un cow boy guerrafondaio» in cerca di colpi mediatici, anche se hanno il sapore della Françafrique e dell’ingerenza. Il dibattito sulla laicità – leggere contro l’islam – lanciato dal partito del presidente, è la ciliegina sulla torta e ha prodotto un libricino e tante spaccature tra la destra moderata e la destra della destra che fa l’occhiolino a Le Pen figlia.

[L'angolo del tazebao] Braccio di ferro a spese dei migranti

“Immigrati, scontro Italia-Francia”, titola La Stampa. Dopo la decisione del governo italiano di concedere permessi di soggiorno temporanei ai migranti provenienti dal Nordafrica per allentare la pressione sui propri centri di detenzione, Parigi ha annunciato che non riconoscerà tali permessi e continuerà a respingere chi cerca di varcare le sue frontiere. Il ministro dell’interno italiano Roberto Maroni, che oggi dovrebbe incontrare a Milano il suo omologo francese Claude Gueant per discutere la questione, ha risposto che per fare ciò la Francia dovrebbe "uscire da Schengen o sospendere il trattato", e ha aggiunto: "Capisco che ci sono le elezioni in Francia nel 2012 e che Sarkozy ha la concorrenza dell’estrema destra, ma mostrare i muscoli è sbagliato". La Stampa conferma la tesi di Maroni, ma ricorda anche che “tra Francia e Italia è in corso da tempo una guerra fredda che ha per teatro soprattutto la finanza [con i casi Edison, Parmalat e Generali]”, e che si ripercuote adesso “sulla pelle di migliaia di migranti tunisini che parlano francese e vogliono la Francia”.

giovedì 7 aprile 2011

[L'angolo del tazebao] Bombe su Tripoli. L'idea inglese: mercenari contro Gheddafi

La Libia punta il dito verso la Gran Bretagna: sono gli aerei britannici ad aver colpito il campo petrolifero di Sarir, nel sud della Cirenaica, uno dei più vasti e importanti del Paese, e danneggiato l'oleodotto che lo collega al porto mediterraneo di Hariga. Londra non replica e sul Guardian affiora un'idea nuova per 'sbloccare' la guerra: i mercenari. Pagati dagli arabi.

Aerei non meglio identificati hanno sorvolato stamattina la capitale libica Tripoli, dove almeno tre forti esplosioni sono state udite alla periferia est. Lo hanno riferito fonti giornalistiche sul posto. Mentre secondo un portavoce degli insorti, bombardamenti della Nato hanno colpito forze filo-Gheddafi a Misurata.

Da Tripoli a Londra

La Libia punta il dito verso la Gran Bretagna: sono gli aerei britannici ad aver colpito il campo petrolifero di Sarir, nel sud della Cirenaica, uno dei più vasti e importanti del Paese, e danneggiato l'oleodotto che lo collega al porto mediterraneo di Hariga. Londra non replica e sul Guardian affiora un'idea nuova per 'sbloccare' la guerra: i mercenari. Pagati dagli arabi.

lunedì 4 aprile 2011

[L'angolo del tazebao] Italia – Libia. Storia di un voltafaccia

L’interlocutore dell’Italia? Ma che domande, è il consiglio degli insorti. Oggi il ministro degli Esteri Franco Frattini, non ha dubbi, e tra il Colonnello Gheddafi e le truppe che da settimane ormai combattono per rovesciarlo sceglie queste ultime. Peccato che fino a ieri, tra trattati di amicizia, baciamano (Berlusconi), dispiacere per la sorte del Raìs (sempre Berlusconi) visite di cortesia e incontri informali, il Raìs fosse il migliore amico dell’Italia. Ecco una piccola antologia dei voltafaccia del nostro ministro degli Esteri. Da agosto 2010, quando Gheddafi visita il nostro Paese tra le polemiche (e il governo difende a spada tratta la sua visita, hostess incluse) ad oggi. Da “l’amicizia con Gheddafi ci avvantaggia”, all’orrore per il dittatore e il “suo bagno di sangue”, dal plauso al colonnello che controlla i tumulti all’abbandono: “Gheddafi non è più l’interlocutore di nessuno”.

28 marzo, Gheddafi vada in esilio
”Credo che l’Unione africana abbia la possibilità per formulare una proposta utile” che porti Gheddafi a ”lasciare il potere”: ”Una Tripoli assediata non può essere rasa al suolo dalle bombe della coalizione”.  Franco Frattini a La7.

[L'angolo del tazebao] Libia, insorti vendono petrolio

Firmato contratto di vendita di un milione di barili di greggio, accordi anche con Qatar: ma Gheddafi bombarda gli impianti

Gli insorti libici, organizzati nel Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi, hanno annunciato di aver stipulato almeno due accordi di vendita di greggio, uno dei quali con il Qatar.  A riferirlo è l'agenzia statunitense di settore Platts, citando a sua volta il responsabile dei ribelli per il settore petrolifero, Wahid Bougaighis.

Gli insorti estraggono petrolio presso gli impianti di Mesla e Serir, situati rispettivamente a est e a sud del paese, aree attualmente sotto il loro controllo. A prelevare il primo carico - un milione di barili di greggio - sarà la petroliera Equator, che batte bandiera della Liberia, anche se ancora non è chiaro chi sia il reale destinatario del carico. Il responsabile Bougaighis ha parlato soltanto di un accordo già firmato, dando per certo il prelievo da parte della petroliera in arrivo presso il porto di Tobruk. La risposta di Gheddafi non si fa attendere: l'emittente satellitare al-Jazeera riporta la notizia di bombardamenti degli impianti in questione da parte delle forze fedeli al Rais.