venerdì 8 aprile 2011

[L'angolo del tazebao] La guerra di Sarkò

La data di scadenza di Sarkò si avvicina. Manca un anno alle prossime elezioni presidenziali in Francia. E la partita è alquanto compromessa anche per chi, come Sarkozy, si alza presto e lavora tanto. Non basta la frenesia per salvare la propria poltrona, così ha deciso di sparare a raffica su vari fronti, in modo da azzeccare – forse – qualche bersaglio. Dopo il terremoto di Fukushima, il paladino del nucleare si è buttato sulla Libia. Una piccola guerra veloce e indolore, tanto per rovesciare un tiranno, arruffare en passant un po’ di petrolio, e battere sul tasto sempre efficace della Francia volenterosa e giusta che difende i diritti umani e i valori universali.

Che la guerra non sia stata né veloce né indolore e rischi ora di avere un effetto boomerang, era solo una remota ipotesi. Così i fini strateghi dell’Eliseo hanno pensato bene di aprire un altro fronte, questa volta in Costa D’Avorio. Non a caso Gilles Labarthe, autore di «Sarkò l’africano», parla di «un cow boy guerrafondaio» in cerca di colpi mediatici, anche se hanno il sapore della Françafrique e dell’ingerenza. Il dibattito sulla laicità – leggere contro l’islam – lanciato dal partito del presidente, è la ciliegina sulla torta e ha prodotto un libricino e tante spaccature tra la destra moderata e la destra della destra che fa l’occhiolino a Le Pen figlia.

Marine ha svolto la sua parte nell’accelerazione disordinata delle ultime settimane. Un sondaggio sull’appuntamento del 2012 che la dà al secondo turno e un risultato niente male alle elezioni cantonali, hanno trasformato la faccia «ripulita» del Fronte nazionale nell’incubo di Sarkò. E contro i cattivi sogni bisogna reagire. Ad esempio nominando come nuovo ministro dell’interno, il 27 febbraio, Claude Guéant, che non ha nulla da invidiare a Marine Le Pen, se non l’ariana capigliatura bionda. «I francesi a forza di immigrazione incontrollata hanno a volte l’impressione di non essere più a casa loro, oppure hanno l’impressione di vedere pratiche che gli sono imposte e che non corrispondono alle regole della nostra vita sociale», ha detto recentemente il ministro.

L’incontro dell’8 aprile, con il suo omologo italiano Roberto Maroni è stato riparatore. Sotterrata l’ascia di guerra e le frecciate che fino a qualche ora prima dilagavano. «Dirò al ministro francese dell’Interno Guéant, che i tunisini cui concederemo il permesso di soggiorno temporaneo hanno diritto a circolare. C’è un solo modo per impedirlo: che la Francia esca da Schengen o sospenda il trattato», aveva dichiarato Maroni prima dell’incontro. Quattro ore sono bastate per dare una parvenza di concordia nei rapporti tra i due paesi. Da entrambi i lati si sta giocando una disperata partita alla vigilia delle elezioni – chi prima chi dopo – per non perdere la faccia su un argomento scottante per i crociati della sicurezza come quello dell’immigrazione. Ed è toccato proprio a quello che indossa cravatta e fazzoletto verde difendere la libertà di circolazione dei migranti. Intanto, la favola del muro al confine tra Ventimiglia e Mentone continua, ad ogni costo. La Francia di Guéant e Sarkozy non vuole «subire l’ondata di immigrazione» e non ha affatto apprezzato la decisione italiana di ricorrere all’articolo 20 del Testo unico sull’immigrazione che prevede il rilascio di permessi di soggiorno temporanei per protezione umanitaria. Il 7, dopo l’annuncio del rilascio dei permessi, Guéant ha diramato una circolare ai prefetti per ricordare le condizioni di circolazione nello spazio Schengen, condizioni irraggiungibili per la maggior parte dei migranti tunisini che si affacciano a Ventimiglia. Il presidente guerrafondaio ha la meglio anche sui trattati internazionali. E il dono dell’ubiquità: oltre alla Libia, la Costa D’avorio, sarà anche nelle acque tunisine a pattugliare insieme a l’Italia per respingere chi vuole approdare in Europa. In fondo Sarkò ha sempre amato essere il primo poliziotto di Francia, fino al 2007 era ministro dell’interno ed è da quella poltrona che ha conquistato l’eliseo. Non fa altro, quindi, che ripercorrere una strada già nota.

Di fronte alla deriva, l’ennesima, c’è chi cerca di arginare i danni. Secondo dati ufficiali, sono 1348 i tunisini fermati nelle Alpi Maritime. 1081 sono stati respinti a Ventimiglia [per i tre quarti], in Tunisia [per i restanti]. Gli altri si sono visti recapitare un foglio di via. Diverse associazioni denunciano «l’escalation nazionale». La rete Migreurop ha lanciato un appello, firmato da molte associazioni tra cui Abcds [Marocco], Acort [Turchia], Amf [Francia], Arci [Italia], Asgi [Italia], Cire [Belgio], Emmaüs International [Francia], Gisti [Francia], La Cimade [Francia], rete Primo Marzo-Una giornata senza di noi [Italia], Sos Racismo [Spagna], MeltingPot Europa [Italia], per una moratoria sui rimpatri verso la Tunisia e per un’accoglienza dignitosa nell’Ue.

«È ipocrita e immorale da parte dell’Ue felicitarsi per la rivoluzione in Tunisia e, al tempo stesso, esigere che la Tunisia continui, in nome di una supposta necessità di proteggere l’Europa da un’’ondata migratoria’, a comportarsi da poliziotto di frontiera, come ai tempi di Ben Ali – si legge nell’appello – È urgente, al contrario, prendere atto dei cambiamenti democratici e ricostruire le relazioni tra l’Ue e la Tunisia su basi di equità e trasparenza. Gli stati europei non possono rispondere al processo democratico in corso con una politica repressiva nei confronti dei migranti, facendo pesare la minaccia di un rimpatrio collettivo». Nel mirino delle associazioni internazionali c’è «il trattamento riservato ai tunisini in alcuni centri di detenzione in Italia, la caccia ai migranti nel sud della Francia e il ping-pong di cui altri ancora sono oggetto alla frontiera franco-italiana sono inaccettabili». Viene chiesto all’Unione europea di dichiarare una moratoria immediata sui rimpatri di cittadini tunisini, concedere la possibilità di soggiorno regolare ai tunisini già arrivati in Francia e in Italia e garantire l’accesso al territorio europeo alle persone in cerca di protezione. È richiesta anche la rinuncia ad accordi per ostacolare questi arrivi, oltre all’attivazione della direttiva 55 del 2001 che permette di accordare la protezione temporanea.

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