Gheddafi respinge ancora l'avanzata degli insorti. I suoi miliziani riprendono Al Assun, bloccando la marcia verso Sirte. E' il momento delle trattative segrete fra i diplomatici e i capi delle tribù
di Bernardo Valli
Quale sorte riservare a Gheddafi è l'argomento che ha impegnato nelle ultime ore buona parte della società internazionale, riunita a Londra. Da qui, dove la guerra civile è tuttora in corso, si ha l'impressione che si sia discusso il prezzo della pelle dell'orso, non dico prima di averlo ucciso, ma perlomeno catturato. O messo fuori gioco. Gheddafi è infatti sempre arroccato in Tripolitania. Il raìs è difeso dai (finora) fedeli giannizzeri, e la sua fine politica o fisica non è in vista; anche se resta possibile in qualsiasi momento; un tradimento dei cortigiani affretterebbe i tempi. Le esplosioni udite ieri vicino alla sua residenza di Tripoli potrebbero avere il valore dei rintocchi delle campane un tempo annuncianti l'imminente morte di un uomo o una donna della comunità. Per ora lui è comunque vitale e combattivo, al punto da paragonare i nemici ad Adolf Hitler. E nei nemici comprende anche i dirigenti dei Paesi della coalizione che bombarda dal cielo le sue truppe.
Per bocca dello stesso Barack Obama, gli americani hanno fatto sapere che preferiscono una soluzione diplomatica. Non violenta. Francesi e inglesi sono più drastici, vorrebbero che gli attacchi dei loro aerei riuscissero fatali al regime di Tripoli. Ma quale sarebbe la sorte di Gheddafi se fosse neutralizzato, messo fuori gioco fatto prigioniero oppure decidesse di uscire di scena? Per i più clementi l'esilio basterebbe. Per gli altri un processo sarebbe invece inevitabile. Il raìs dovrebbe essere giudicato per i crimini commessi contro il suo popolo. La prospettiva di un esilio senza ulteriori guai, magari in un paese africano amico (si parla spesso dello Zimbabwe) potrebbe rendere più facile una resa di Gheddafi, anche se chi lo conosce bene pensa che egli preferisca la morte del guerriero. Potrebbe non essere tuttavia insignificante che si sia dichiarato pronto ad accettare una decisione dell'Unione africana da lui sempre preferita alla Lega araba, dove conta soprattutto dei nemici.
I ribelli e i loro dirigenti di Bengasi non hanno dubbi sulla questione. Presente a Londra, Mahmud Jibril, uno dei membri del consiglio nazionale della Libia libera, che funziona da comitato di liberazione, e sempre da più da governo provvisorio, si è già pronunciato con chiarezza. Né Gheddafi, né i suoi familiari, né i suoi attuali complici, possono essere considerati come interlocutori. Con loro non si tratta. La posizione internazionale del consiglio nazionale si è rafforzata negli ultimi giorni. È in arrivo a Bengasi un ambasciatore francese. Sarkozy, non troppo popolare in patria, è considerato il "grande amico" dai ribelli, i quali gli hanno dedicato un centinaio di chilometri sulla strada che porta a Tripoli, e sventolano spesso il tricolore francese. Inoltre Mahmud Jibril, l'inviato del consiglio nazionale a Londra, sta per avere un colloquio con Hillary Clinton, la quale ha annunciato la partenza di un diplomatico americano per Bengasi. Sarà il primo ricevuto ufficialmente, altri l'hanno già preceduto in via riservata. La Libia libera del dopo Gheddafi sta prendendo corpo mentre le armi non ancora tacciono.
Per bocca dello stesso Barack Obama, gli americani hanno fatto sapere che preferiscono una soluzione diplomatica. Non violenta. Francesi e inglesi sono più drastici, vorrebbero che gli attacchi dei loro aerei riuscissero fatali al regime di Tripoli. Ma quale sarebbe la sorte di Gheddafi se fosse neutralizzato, messo fuori gioco fatto prigioniero oppure decidesse di uscire di scena? Per i più clementi l'esilio basterebbe. Per gli altri un processo sarebbe invece inevitabile. Il raìs dovrebbe essere giudicato per i crimini commessi contro il suo popolo. La prospettiva di un esilio senza ulteriori guai, magari in un paese africano amico (si parla spesso dello Zimbabwe) potrebbe rendere più facile una resa di Gheddafi, anche se chi lo conosce bene pensa che egli preferisca la morte del guerriero. Potrebbe non essere tuttavia insignificante che si sia dichiarato pronto ad accettare una decisione dell'Unione africana da lui sempre preferita alla Lega araba, dove conta soprattutto dei nemici.
I ribelli e i loro dirigenti di Bengasi non hanno dubbi sulla questione. Presente a Londra, Mahmud Jibril, uno dei membri del consiglio nazionale della Libia libera, che funziona da comitato di liberazione, e sempre da più da governo provvisorio, si è già pronunciato con chiarezza. Né Gheddafi, né i suoi familiari, né i suoi attuali complici, possono essere considerati come interlocutori. Con loro non si tratta. La posizione internazionale del consiglio nazionale si è rafforzata negli ultimi giorni. È in arrivo a Bengasi un ambasciatore francese. Sarkozy, non troppo popolare in patria, è considerato il "grande amico" dai ribelli, i quali gli hanno dedicato un centinaio di chilometri sulla strada che porta a Tripoli, e sventolano spesso il tricolore francese. Inoltre Mahmud Jibril, l'inviato del consiglio nazionale a Londra, sta per avere un colloquio con Hillary Clinton, la quale ha annunciato la partenza di un diplomatico americano per Bengasi. Sarà il primo ricevuto ufficialmente, altri l'hanno già preceduto in via riservata. La Libia libera del dopo Gheddafi sta prendendo corpo mentre le armi non ancora tacciono.
Sono sempre in attività sulla strada del litorale, dove governativi e ribelli si contendono Bin Jawad, località della zona petrolifera, a circa metà strada tra Bengasi e Tripoli. Lunedì sera i giornalisti si erano accampati in un albergo devastato e senza luce, di Ras Lanuf, sulla riva del Mediterraneo. Si erano allontanati, al tramonto, di qualche decina di chilometri, da Al Assun, dove avevano assistito al vano tentativo degli shabab di sloggiare i governativi dalla questa modesta località per avvicinarsi alla Sirte, provincia natale di Gheddafi. Quell'albergo, ridotto a una stalla affacciata sul mare dai governativi e ribelli che l'avevano occupata durante l'andirivieni del fronte, sembrava un rifugio sicuro. E, invece, nella notte, il ripiegamento in massa degli shabab, ha costretto i giornalisti ad andarsene in fretta. I governativi stavano rioccupando Bin Jawad ed una località vicina. E non era prudente aspettarli.
Quella piccola offensiva dei governativi a poche ore dalla riunione di Londra, vista come un tribunale con Gheddafi imputato è stata interpretata come un tentativo di dimostrare che le forze del raìs non sono state affatto sconfitte. E che sono in grado di difendere la Sirte, provincia di rilevante importanza, sul piano strategico e simbolico. I governativi, sottoposti agli attacchi aerei della coalizione che li ha privati dell'aviazione e dei mezzi blindati, non possono recuperare le centinaia di chilometri perduti negli ultimi giorni. Ma la Tripolitania, fanno capire, è ancora in grado di difendersi.
Ma questo è soprattutto il momento delle trattative, beninteso segrete anche tra capitribù e diplomatici, ed emissari meno ufficiale di governi che contano. Più trasparenti, si intensificano i messaggi riguardanti il destino da riservare a Gheddafi, tra le Cancellerie di vari continenti. Insomma, la politica prevale in queste ore sulla guerra. Prima che la Nato assuma tra qualche ora la direzione militare dell'operazione no fly zone, si è intensificata la corsa a una soluzione diplomatica, La quale è al tempo stesso un'azione psicologica di vasta portata. La riunione di Londra, l'invio del promesso ambasciatore francese a Bengasi, l'arrivo imminente di diplomatici americani sempre a Bengasi, devono dare al raìs rintanato a Tripoli l'impressione di essere ormai abbandonato sul serio. E' come se si stesse cominciando a preparare il funerale al suo regime, e si stesse varando uno Stato democratico libico.
La pressione esercitata da questi avvenimenti tocca anche le comunità tribali, specialmente quella dei Warfalla, la più numerosa in Tripolitania, ancora fedele al raìs. Ma nel passato spesso in polemica, o addirittura in non violenta tenzone con il regime. Alla radio continuano gli appelli ai Warfalla e alle altre tribù, che hanno finora garantito il loro appoggio a Gheddafi. "Perché non venite con noi? Domani potrebbe essere troppo tardi. Con il colonnello non avete un avvenire. Il mondo l'ha abbandonato".
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