"Primavera araba". "Qui comincia l'inverno europeo" - by Chappatte
Dopo la traversata del Mediterraneo e la fuga dai cie italiani, i migranti cercano di entrare in Francia per riabbracciare i parenti e cercare un lavoro. Ma la polizia francese continua a respingerli, e nella cittadina di frontiera si prepara un'altra emergenza.
di Giuseppe Salvaggiulo per La Stampa
"A noi l’Italia non interessa. Siamo di passaggio, vogliamo andare in Francia ma lì non ci vogliono". Bivacchi in stazione. Muretti trasformati in orinatoi. Siesta nei giardini comunali. Accampamenti lungo il fiume Roia. Probabilmente clandestini, forse rifugiati, certo disperati. Migranti. Se Lampedusa è il collo, Ventimiglia è il fondo della bottiglia in cui si agita questa miscela esplosiva. Vite di scarto in transito - jeans, scarpe da tennis, telefonino come bagaglio - e cittadini inquieti, che fermano per strada il sindaco Gaetano Scullino: "Quando li portate via?". La stazione di Ventimiglia è la terza tappa italiana per gli immigrati partiti dalla Tunisia. Dopo l’approdo a Lampedusa, il trasferimento nei centri temporanei sulla penisola - Bari, Foggia, Crotone - da cui è facile scappare. E via in treno verso Nord. Da un confine a un altro.
L’Italia è solo terra di passaggio. Sognano la Francia: per riabbracciare i parenti che li hanno preceduti, per un lavoro che in Costa Azzurra è più facile trovare. Già, ma i dieci chilometri scarsi per l’agognata Mentone sembrano più lunghi delle notti di turbolenta navigazione nel canale di Sicilia. Perché per i migranti la linea di confine tra Italia e Francia è un muro invalicabile. L’incubo è la polizia di frontiera transalpina, che nelle ultime settimane ha intensificato i controlli. Posti di blocco stradali, con un occhio fisso alla carnagione dei passeggeri. E implacabili pattugliamenti sui treni. Quando li beccano senza documenti, li rispediscono per le vie brevi a Ventimiglia, senza curarsi di accertarne status o salute. Basta un fax alla polizia di frontiera italiana. Noi ce li riprendiamo senza obiettare. Il volto dell’autorità italiana è l’opposto: zero controlli, nessuno chiede documenti. I Cie traboccano, non si saprebbe dove metterli.
E poi perché fermarli, se non vogliono stare qui? Così, Ventimiglia è diventata una piccola Lampedusa del Nord. Ogni giorno arrivano cinquanta migranti dal Sud Italia, altrettanti provano a passare la frontiera francese. Pochi ce la fanno, una trentina tornano a bivaccare a Ventimiglia, in attesa di riprovarci. L’effetto è che qui aumentano ogni giorno. Ora sono più di cento. Tutti maschi sotto i 30 anni, per lo più tunisini (ma spuntano i primi libici), in tasca soldi per treni e panini. Finora nessun problema di ordine pubblico. I ventimigliesi, che nel ‘98 furono invasi dai curdi, soffrono ma tollerano. "Però se continua così la situazione esplode", si sente dire al bar come nei vertici istituzionali, ormai quotidiani. Di notte i migranti si accampano nel sottopasso della stazione, dove c’è anche una presa per ricaricare i telefonini. Dopo le proteste del sindaco, le Ferrovie lasciano aperti di notte anche sala d’aspetto e bagni.
Di giorno si aggirano per la città, cercando la via meno rischiosa per la Francia. Samir sta per compiere 24 anni. Emigrato in Italia da piccolo, lavorava fino a qualche tempo fa in un’azienda di trasporti che poi ha chiuso. Ha seguito una ragazza a Nizza, dove ora fa il carpentiere. Mostra la carta di soggiorno con cui può regolarmente girare l’Europa. Per tutto il giorno si aggira guardingo. "Sono venuto a prendere mio fratello. Ha 20 anni, è arrivato da Sfax a Lampedusa pagando 1800 euro. Poi è stato trasferito in Puglia. Mi ha telefonato. Ho detto “vengo a prenderti a Ventimiglia”. Ed eccomi qui. Ieri sono andato quattro volte avanti e indietro da Nizza in treno, per capire se controllano. In auto no, se ci fermano mi arrestano". Di questi tempi si rivedono anche i passeur, che erano stati messi fuori mercato dall’abolizione delle frontiere.
Adescano i migranti alla stazione, indicano l’auto e contrattano sogni a tariffa variabile: 50 euro fino a Mentone, 100 Nizza, 150 Marsiglia. Tre passeggeri per auto, partenza all’imbrunire. La polizia ne ha già arrestati dieci. Esperti scarpinatori si offrono come guide per attraversare la frontiera a piedi, come ai vecchi tempi sulle rocce a strapiombo. Samir teme trappole: "Meglio il treno. Almeno lì viaggiamo in scompartimenti diversi, io non rischio l’arresto". Ore 18,17, treno per Grasse. È ora. Samir chiama il fratello, fa la coda, distribuisce il biglietto come un tagliando della lotteria. Su il bavero del giubbotto nero, abbraccia il fratello, si dividono ai due capi del treno. È sera, si stendono cartoni alla stazione. Il piazzale è deserto, la polizia sorveglia discreta. Nuovi migranti scendono dal treno da Roma e si accampano. Arriva un sms. È di Samir. "Addio Italia!".
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